mercoledì 23 gennaio 2019

John Banville

Trame di spie e di agenti segreti sono sempre state un soggetto allettante, fin dagli albori della letteratura e dei servizi d’informazione: già James Fenimore Cooper e Joseph Conrad avevano percepito le possibilità narrative nel raccontare doppi e tripli giochi, codici cifrati e cambi di ruolo e di interprete, ma, ancora più indietro nei secoli, La congiura di Catilina aveva messo una pietra d’angolo per ogni spy story che si rispetti. Da 007 in poi, un intero genere letterario si è sviluppato con conseguenti propaggini cinematografiche, ma spesso la qualità della scrittura è andata al ribasso e destinata a un pubblico di lettori occasionali e distratti. D’altra parte come scriveva Ian McEwan: “I romanzieri sono sempre dei grandi maestri di spionaggio perché, per tenere avvinta l'attenzione del lettore, non rivelano tutte le informazioni in loro possesso. Usano trucchi. Hanno segreti che non confessano se non quando gli conviene (sempre per questioni di strategia narrativa). Fanno disinformazione dando informazioni erronee ai lettori, sempre allo scopo di coinvolgerli maggiormente nella lettura”. È quindi molto più interessante quando qualche scrittore si avvicina al temo partendo da una prospettiva che non sia solo e unicamente quella della spy story: Norman Mailer con Il fantasma di Harlot, Don DeLillo con I giocatori e, appunto, Ian McEwan con Lettera a Berlino, John Banville con L’intoccabile. Prendendo spunto da un fatto di cronaca (un gruppo di intellettuali di Cambridge assoldati dai servizi segreti sovietici), John Banville costruisce la storia delle motivazioni, delle soluzioni e dell’intricata rete di connessioni attraverso il memoriale di Victor Maskell, critico d’arte, professore universitario, cortigiano della famiglia reale e spia a tutto campo, ovvero L’intoccabile del titolo. L’idea stessa di partire con un tono confidenziale, da diario quotidiano, è una scelta geniale perché introduce subito nell’atmosfera di segreti sussurrati in malinconici pub londinesi, ma anche all’attitudine di dire e non dire, togliere una maschera per svelarne un’altra perché un agente segreto è senza controllo in quella che Don DeLillo chiama “una realtà incontrollabile”. Allora ecco Victor Maskell che comincia le sue memorie, usando la scrittura come uno strumento di difesa dalla pubblica gogna a cui è sottoposto: “Mi sono seduto e mi sono messo a scrivere, come se fosse la cosa più naturale del mondo, anche se ovviamente non è così”. La ricostruzione del passato, di Londra sotto i bombardamenti nazisti, dell’intersecarsi di vicende personali e di interesse nazionale è ineccepibile e lo svolgersi della storia permette a John Banville di svelare ancora una volta, uno stile florido eppure conciso e teso, come ha detto ancora Don DeLillo, a “leggere a fondo nell’animo dei personaggi”. Ne esce un grande romanzo, che ha il pregio di fondere una scrittura colta e impeccabile con una spy story intrigante e senza un attimo di pausa: particolarmente indicato ai lettori che amano scavare tra le righe e dietro le apparenze della storia.

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