mercoledì 12 febbraio 2020

Max Hastings

Nessuna altra guerra, come quella combattuta in Vietnam, ha permeato la cultura occidentale, filtrando in continuazione e senza sosta attraverso il cinema, la letteratura e persino la musica, come un vaso di Pandora che erutta senza sosta storie ed eroi, atrocità e misteri, gloria e infamia. Il motivo di questa invasione va cercato nella monumentale ricerca di Max Hastings che segue tutta l’evoluzione dei conflitti, i riflessi politici, sociali e culturali a partire dal fatto che “nell’ultima fase la guerra entrò a forza nell’immaginario collettivo” costituiscono.La ricostruzione storica segue un percorso cronologico coerente, da cui Max Hastings non si scosta neanche per sbaglio. Non c’è nulla di inedito, ma è un ottimo quadro d’insieme e  la densità delle informazioni dirette o indirette (tratte dai libri di Tim O’Brien, Neil Sheenan, Bao Ninh, Karl Marlantes) contribuisce a un’elaborazione serrata, che paga però un prezzo, in termini di analisi, a una presunta equidistanza tra le parti in conflitto. Un equilibrio necessario, ma non dovuto perché come dice Philip Caputo in una delle citazioni di Max Hastings: “Tutto andava male e si corrompeva laggiù: i corpi, il cuoio degli stivali, la stoffa, il metallo, i principi morali”. Il quadro è quello e per la cornice, senza dubbio, Max Hastings svolge un enorme lavoro di raccordo, mantenendosi in equilibrio tra le diverse posizioni e tra le valutazioni geopolitiche e quelle più legate alle eventualità quotidiane. Il lavoro è nello stesso tempo imponente e riepilogativo. Un trattato dettagliatissimo, ricco di testimonianze raccolte in prima persona e organizzate secondo uno schema ben preciso: Una tragedia epica è senza dubbio una definizione consistente, con una sua logica stringente. Ne esce una panoramica sicuramente esaustiva (sono quasi mille pagine) di trent’anni di eventi bellici che Max Hastings sa raccontare con uno stile fluido, preciso e avvincente, a tratti affascinante come un romanzo. Molta attenzione è dedicata, come non poteva essere diversamente, allo svolgimento dei combattimenti e alla vita (e alla morte) delle truppe sul terreno, tenendo presente anche le diverse caratteristiche delle armi e delle strutture industriali nella loro produzione a monte, valga su tutte la minuziosa descrizione della differenza tra i due principali fucili usati nei combattimenti, l’M16 e l’AK-47. Nello stesso modo, la cronaca puntigliosa dell’offensiva del Têt è davvero coinvolgente, per come Max Hastings sa fondere le valutazioni tattiche e strategiche con l’esperienza nelle strade e nei combattimenti, fino all’apoteosi della battaglia per Hue, dove venne coniata la frase: “È necessario distruggere la città per salvarla”. La fonte di quell’asserzione non è né chiara né confermata, ma in sé è il paradigma di tutta la guerra nel Vietnam. C’è anche un altro lato della storia perché, come scrive Max Hastings nell’introduzione, “molti dei racconti sotto riportati ritraggono crudeltà e follie, ma all’interno del grande affresco furono tante le singole persone, vietnamite e americane, di tutte le età e di entrambi i sessi, militari e civili, che si comportarono come si deve. Ho cercato di raccontare le vicende di queste persone, perché è sbagliato lasciare che la condotta virtuosa svanisca nel calderone delle bombe, le brutalità e i tradimenti da cui trae alimento la maggior parte delle cronache della guerra”. Si tratta di una componente notevole del lavoro di Max Hastings che, dove si addentra nei risvolti più profondi dell’esperienza bellica, è la parte più originale. Nel momento in cui conclude che “è difficile regolare a puntino il comportamento di giovani in possesso di armi letali che, come la maggior parte dei soldati la maggior parte del tempo, hanno caldo o freddo, sono sporchi, hanno fame, soffrono di costipazione o di diarrea, hanno sete, sono soli, stanchi, ignoranti, mantengono i nervi saldi o hanno il grilletto facile, perché solo così possono sperare anche loro di rimanere vivi”, esprime, attraverso il Vietnam, una verità che vale per ogni guerra, e più di ogni statistica. I dati non mancano perché Max Hastings sa che i segreti della storia vanno cercati negli atti e quel rigore rende l’analisi del Vietnam sicuramente affidabile e meritevole. Qualche eccezione conferma la regola generale, senza intaccarne comunque la validità complessiva. A tratti, Max Hastings si astiene su alcune delle questioni più scottanti, tralasciando anche particolari rilevanti. Su tutte, sull’opzione dell’utilizzo degli ordigni nucleari si limita a ricordare la discussione all’interno dei comandi militari e dell’entourage presidenziale, come se fosse un’ipotesi generica e riservata, mentre, come è noto, stava diventando una soluzione richiesta ad alta voce, in pubblico, anche da un senatore d’alto rango come Strom Thurmond. Ma, sembra suggerire lo stesso Max Hastings, forse è sufficiente ricordare che è stata solo un’ipotesi persino innocua, di fronte gli orrori di trent’anni di guerra.

Nessun commento:

Posta un commento