martedì 17 dicembre 2019

John Berger

Nella sua articolazione dei Modi di vedere è più che sufficiente a rivelare la generosità con cui John Berger ha affronta la pittura, la musica, l’arte di scrivere e di viaggiare e (non ultimo) l’impegno politico. L’assemblaggio, curato da Maria Nadotti, comprende interviste, reportage, commenti di Geoff Dyer e Jean Mohr, una lettera aperta sulle carceri al sindaco di Lione, un ritratto di Nazim Hikmet e la ricostruzione della collaborazione cinematografica con Alain Tanner, il diario di viaggio a Ramallah e visioni di Tiziano e Caravaggio. L’approccio alla scrittura e all’immagine determina la coerenza che unisce esperienze così diverse e questo perché secondo John Berger “l’arte è molto esclusiva. Ci sono cose che la gente dimentica. Per la verità l’intera storia dell’arte è storia della lotta per portare nuove esperienze dentro l’arte. Scegliere di scrivere di un soggetto può dunque essere una specie di impegno, di dovere che ci si assume, magari penosamente e con difficoltà, e che non è detto trovi immediatamente la propria forma o, appunto, la voce giusta”. Questo è un cardine su cui ruotano tutti i Modi di vedere che, in verità, si dipanano come modi di raccontare, dato che “il problema vero, infatti, sono le voci: come trovare le voci necessarie a raccontare la storia che deve e vuole essere narrata”. Nel dialogo ininterrotto con  Maria Nadotti, John Berger offre più di un’indicazione per affrontare in modo non convenzionale un’idea di narrativa, partendo dalle motivazioni fondamentali: “La ragione per cui i romanzi sono importanti è che essi pongono interrogativi che nessun’altra forma letteraria può porre: interrogativi sull’operato dei singoli rispetto al proprio destino; interrogativi sull’uso che si può fare della vita, inclusa la propria. E i romanzi pongono questi interrogativi in maniera molto privata. La voce del romanziere agisce come una voce interiore”. Una precisazione che mantiene intatta la sua urgenza perché secondo John Berger “chi scrive romanzi si occupa dell’interazione tra destino individuale e destino storico”. Il contrasto con le forme edulcorate della letteratura attuale è evidente nei limiti delle impostazioni e degli standard più o meno comuni, da cui John Berger si è sempre svincolato e a cui non manca di riservare una critica profonda: “Il problema però non sta nel fatto che chi legge possa riconoscersi o meno nella storia. È piuttosto che la gran parte di ciò che si narra oggi, nei libri, in televisione, al cinema, ha talmente a che fare con questioni di stile (stili di vita, di linguaggio, d’abbigliamento, d’identità) che il clima culturale si è fatto enfaticamente élitario. E così succede che quando compare una storia che, invece di parlare di stile, affronta i processi vitali sepolti in profondità dietro la forma, le ci vuole tempo per essere riconosciuta”. Non è una distinzione relativa: nei Modi di vedere di John Berger c’è una costante preoccupazione per le dimensioni sociali e politiche che devono affrontare le singole storie, ben sapendo che “nessuno, in questo secolo che la rapacità di un’economia basata sempre più sul profitto di pochi e la spendibilità di molti ha trasformato in un tempo di perdita e di amnesia, sa più qual è il proprio luogo di appartenenza e di identità. Né la nuova dimensione planetaria degli scambi e dei transiti ha abbattuto le frontiere che separano e oppongono. L’esito è di pura dispersione, disorientamento, eliminazione dei saperi, arrogante imposizione di modelli massificati e sempre più alienati”. Una volta di più, Modi di vedere è valido come sintesi e introduzione al mondo di John Berger che, in sé, rivela piuttosto un modo di pensare.

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