venerdì 20 dicembre 2019

Chris Salewicz

Uno degli aspetti più curiosi che lo scrupoloso lavoro di Chris Salewicz fa emergere non riguarda né i Clash, né il rock’n’roll, ma la maratona di Londra. Scoprire Joe Strummer tra gli appassionati podisti può essere anche una sorpresa, non di certo la sua attitudine. Alla banale domanda di come si fosse preparato per l’occasione, Joe Strummer rispose: “Io non mi alleno, cazzo. Mai. Sono andato lì e l’ho corsa”. Una filosofia valida per un’intera vita e maturata lungo una formazione cosmopolita e caotica, che Chris Salewicz ricostruisce risalendo lungo le radici famigliari scozzesi fino ai repentini traslochi tra Turchia, Egitto, Messico e Germania fino al definitivo approdo a Londra, l’epicentro di tutto il suo personale terremoto esistenziale. Avvolta in un’atmosfera ballardiana, Londra diventa il palcoscenico ideale per Joe Strummer: le strade, i pub, gli squat, le band sono parte di un ecosistema dove “non c’è molto da fare a parte il rock’n’roll, uscire qualche volta a sbronzarsi e scrivere tutta la notte”. All’epoca si faceva chiamare Woody Mellor, una definizione anagrafica che provava a riunire una delle principali fonti d’ispirazione (non solo musicale), ovvero Woody Guthrie e una buona metà dell’identità burocratica, destinata ben presto a sparire. Tutti dettagli riportati con estrema puntualità da Chris Salewicz che inquadra con precisione l’incontro con il glorioso 1977. Joe Strummer aveva già sviluppato gli anticorpi personali all’omologazione diffusa (“La vita in fondo non è altro che prendere decisioni avventate”), ma in quella furibonda stagione ebbe modo di riconoscersi e ritrovarsi, avendo capito in fretta che la componente più importante del punk era (e resta) “arrangiati, cazzo, e non aspettarti un accidente da nessuno”. Quella che poteva essere kryptonite nelle frustrazioni e nella solitudine, divenne benzina per le molotov dei Clash. Non c’è stata un’altra rock’n’roll band come loro ed è fin troppo facile identificarli con Joe Strummer, ma Chris Salewicz conosce troppo bene la storia e gli è stato così vicino da non lasciarsi ingannare dalle turbolenze che li hanno distinti, raccontando invece quella straordinaria progressione che li portò a London Calling e a Sandinista!. Siamo nel cuore di Redemption Song, come è inevitabile, ma tocca al fotografo Bob Gruen riassumere l’epopea dei Clash City Rockers: “Non erano il solito gruppo, non solo ti divertivi con loro ma ti facevano anche pensare ai problemi reali della gente. La situazione era seria e c’era di che incazzarsi, ma c’era anche di che divertirsi. La musica fu così potente che sembrò una battaglia, uno scontro. Le luci balenavano come fossero esplosioni”. La fine dei Clash, paradossalmente, alimenta la biografia di Joe Strummer seguendolo passo per passo in quell’odissea che l’ha portato dentro il cinema con la complicità di Alex Cox e Aki Kaurismäki e poi l’ha spinto di nuovo sul palco con la folle accolita dei Pogues. È nelle pieghe di questi vagabondaggi che ha maturato la convinzione che ormai “non c’è più il rock’n’roll. È solo tappezzeria. È arrivato il momento in cui devi cercare le cose, come succedeva ai tempi dei beatnik quando era difficile trovare qualcosa di interessante ma per questo se scovavi qualcosa era ancora più prezioso”. Aveva ritrovato il suo Afro Cuban Be-Bop e un nuovo modo di affrontare le canzoni, firmando un emendamento che andrebbe insegnato a memoria a tutti gli aspiranti songwriter e/o scrittori: “Fai l’editing nella testa prima scrivere”. Si era rimesso alla testa di una rock’n’roll band, con la stessa voglia di prendere a calci muri e porte, ma la sua ballata si scontrava senza sosta con quell’antipatico inconveniente che è la realtà. Sembrava quasi una premonizione quando diceva: “Meglio se vado, se questo fosse un mondo perfetto rimarrei. Ma questo mondo non è perfetto”. No, non lo è, ma Redemption Song ci restituisce il giusto profilo di un sognatore che prendeva a pugni il cielo, un profeta che aveva capito tutto, e che continua a spiegarcelo in quelle canzoni cantate come se fosse una questione di gloria o morte.

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