martedì 20 febbraio 2018

Miyamoto Teru

Il periodo sottinteso dai racconti di Bagliori fatui, dal 1978 al 1988 è un segmento della storia giapponese dominato da una grande bolla speculativa, generata a sua volta dall’irruenza dell’espansione economica seguita all’apocalisse della seconda guerra mondiale. Una fase di transizione complessa che si trasformerà in una lunga e tortuosa crisi. I personaggi di Bagliori fatui sono troppo deboli o troppo scettici per credere nei miracoli del mercato che, nella sua folle corsa, li lascia ai margini, in piccole cittadine di provincia, come scorie, residui, sfridi di un processo di selezione inevitabile. La prima frattura avviene tra genitori e figli perché l’evanescente percezione del futuro divarica le naturali distanze ed è così evidente in Forza vitale, che funziona un po’ da prologo, da apparire conseguente in Vendetta. Se in Forza vitale padri e madri sono problematici e incomprensibili nelle loro frustrazioni, in Vendetta, un istruttore di judo subisce le ritorsioni di un suo ex allievo, nel frattempo diventato membro della yakuza, per le pene inflitte a lui e ai suoi amici. Da un racconto all’altro, e sono tutti concatenati da dettagli, atmosfere, frammenti e da una sottile luce crepuscolare, c’è un rimbalzo continuo delle responsabilità per le drammatiche condizioni di vita. Succede nelle lancinanti storie di Morire e rinascere migliaia di volte al giorno, e Sulle scale in cui nelle “case dei poveri” prende forma lo straordinario inventario di sofferenze di una classe operaia devastata, limitata nelle aspirazioni, assorbita dalla propria solitudine, incapace di uscire dall’angolo. Spesso accompagnata dall’alcol, l’unica prospettiva è una lenta dissolvenza che si snoda spontanea e naturale in Bagliori fatui, lo straziante racconto centrale. Una sorta di monologo che si inoltra a scoprire profondità sconosciute del dolore, della malattia, del disorientamento richiamati ancora in La matita per le sopracciglia, Il mistero dei pomodori e La notte dei ciliegi e che sono le vere insidie nascoste sotto la superficie scintillante dell’impetuoso progresso industriale e delle ambizioni nazionali. Qualcosa che non ha prezzo e che il mercato non può nemmeno considerare: una condizione drammatica vissuta con una particolare discrezione nipponica, persino con gentilezza, come ricorda la stessa protagonista di Bagliori fatui: “Scrivevo a mia madre all’incirca una volta al mese per metterla al corrente di quella che un tantino esagerando le descrivevo come una vita felice”. Per Miyamoto Teru il dolore non è soltanto un’espressione individuale e  nei racconti di Bagliori fatui è chiaro che emerge dove uomini, donne e i traballanti nuclei famigliari che compongono sono schiacciati dall’assenza di prospettive, dall’infelicità, dalla durissima lotta per la sopravvivenza. Un certo “sollievo” è il massimo a cui possono ambire: si accontentano di una fragile tregua con la vita che vuol dire, in genere, un dignitoso armistizio con i ricordi e i fantasmi che li perseguitano dall’infanzia. Quasi come una forma di estremo rispetto nei loro confronti, Miyamoto Teru non si concede alcuna divagazione stilistica: la scrittura è tutta concentrata sulle storie, scarna e livida come le notti insonni sui tatami, concisa nella forma e limata parola per parola nel compilare i cahiers de doléances di un mondo invisibile, evocato a partire dal titolo.

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