Contro i nuovi tiranni raccoglie una selezione di riflessioni che attraversa più di mezzo secolo ed è l’espressione migliore del dono di John Berger che Salman Rushdie individuava nella “sua abilità di aiutarci a comprendere come ciò che vediamo possa venire manipolato”. “Non c’è alternativa”, uno slogan che risale all’epoca di Margaret Thatcher, è il tema ricorrente di una nuova forma di tirannia, più subdola, elegante e accurata, ma i cui effetti non sempre sono visibili e comprensibili, come avverte fin dall’inizio John Berger: “Osservate la struttura del potere del mondo senza precedenti che ci circonda, e come funziona la sua autorità. Ogni tirannia scopre e improvvisa il proprio insieme di controlli. Ed è per questo che spesso, al principio, non li si ravvisa per quei controlli viscosi che sono”. Il despota supremo, il deus ex machina dell’era moderna è il mercato che “punteggia le nostre vite con la regolarità e la sistematicità di un ciclo di preghiere in seminario. Trasfigura il prodotto o la confezione in vendita in modo da conferirgli un’aura, dotarlo di una radiosità, che promette una specie di temporanea immunità dalla sofferenza, una sorta di salvezza provvisoria, l’atto salvifico restando sempre quello dell’acquisto”. L’elemento taumaturgico non è casuale (ancora una volta, il segnale è: non c’è altra possibilità) perché “le promesse sono mute e fisiche. Alcune sono visibili, altre tangibili, certe si possono udire, altre gustare. Altre ancora non sono che messaggi in un impulso” e, più di tutto, “il mercato esige che consumatori e dipendenti siano assolutamente soli al presente”. Lo strumento principale per raggiungere questa dimensione è la contrazione della comunicazione: impressioni invece di esperienza, assenza di una visione d’insieme, formule senza pensiero. John Berger va in direzione opposta e contraria, con convinzione: il suo modo di vedere è uno sguardo ravvicinato, sentito, scrupoloso. Ha qualcosa di matematico nell’approccio e nella cadenza, ma è molto umano. La sua voce è moderna, sensibile, acuta. È una lingua diretta, senza fronzoli, comprensibile ai più, sempre nell’ottica che “bisogna cercare di scrivere in modo che quanto si è scritto, anche se pensiamo che saranno in pochi a leggerlo, parli forte e chiaro ovunque lo leggano”. Con queste premesse, John Berger non ha mai temuto le sfide intellettuali, il confronto con impostazioni e temi complessi, ma sempre nell’ottica di un’estrema chiarezza perché l’oscurità delle informazioni è l’altra faccia dello sfrontato esercizio del potere. In questo, John Bergere è tanto esplicito quanto preciso: “L’atto di resistenza significa non soltanto rifiutare di accettare l’assurdità dell’immagine del mondo che ci è offerta, ma denunciarla. E quando l’inferno viene denunciato dall’interno, smette di essere inferno”. Detto questo, John Berger non ha mai rinunciato a nessuna delle sue prerogative: è uno storyteller, o meglio, “un osservatore appassionato di gesti, reazioni e comportamenti”, e non si immagina in un ruolo differente. Diceva, ancora nel 2001: “Scrivere sull’arte o la politica in fondo importa poco: qualunque cosa si scriva, si cerca di raccontare la storia della propria esistenza qui e in questo momento. L’arte è un punto di partenza per parlare dell’enigma del senso, della ricerca del senso nella vita umana. Lo si può fare raccontando una storia o scrivendo su un affresco di Giotto oppure studiando in che modo una lumaca arriva in cima a un muro”. Contro i nuovi tiranni è un’antologia comprensiva di gran parte delle visioni di John Berger e, nella sua essenza, è l’estensione della definizione che di lui dava Stephen Spender: “una sirena per la nebbia nella nebbia”. Più necessario che mai.
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