Ormai
abbandonata ogni velleità di scoprire una musica davvero autentica,
il produttore discografico Jim Gystad rimane folgorato
dall’esibizione di un trio vocale nel corso del battesimo del
figlio di un amico. Lo stupore è tanto e tale che confessa al suo
ospite: “Ricordi come ci sentivamo quando da ragazzi scoprivamo
qualcosa di diverso? La prima volta che abbiamo ascoltato un nuovo
artista, o letto un libro, o guardato un film, o baciato una
ragazza... Quanto tempo è passato dall’ultima volta che ti è
capitato di sentirti così?”, e la domanda rimane sospesa
nell’aria, dando il via al romanzo che Levi Henriksen (classe 1964)
accorda sui toni agrodolci della commedia. La leggerezza di Norwegian
Blues però non è mai banale perché, sempre con garbo e ironia,
lascia emergere più di una possibilità di approfondimento. Intanto,
i cantanti che hanno emozionato Jim Gystad sono una famiglia, i
Thorsen, composta dalle sorelle, Tamar/Tulla (il secondo nome cela
un’altra storia che scorre parallela a Norwegian Blues) e
Maria, e dal fratello Timothy. Nella loro carriera hanno soltanto
interpretato inni religiosi, spesso con arrangiamenti fantasiosi ed
eccentrici, ma sempre rispettosi e adeguati alle circostanze. In
gioventù hanno inciso e pubblicato dozzine di dischi e sono stati
acclamati in tour negli Stati Uniti, ma, arrivati a una certa età,
si sono ritirati nella campagna norvegese e non vogliono nemmeno
sentire nominare per sbaglio l’industria discografica. Non hanno
tutti i torti (anzi), perché come dice il protagonista di Norwegian
Blues, “la gente non vuole la realtà. Vuole un reality show
dal cast accuratamente selezionato”. Ammaliato dalle loro armonie,
Jim Gystad abbandona la città e parte all’inseguimento dei
Thorsen, con l’idea di convincerli a tornare in studio di
registrazione per siglare un ultimo capolavoro, e per assecondare il
“bisogno di recuperare la vera essenza della musica. La sensazione
di produrre qualcosa che riesce davvero a toccare l’animo delle
persone”. La rocambolesca avventura lascia affiorare un paesaggio e
un’umanità, quelli della Norvegia, che non sono molto diversi dal
resto del mondo: lo sfruttamento insensato del territorio, l’avidità
e la superficialità sono gli ostacoli con cui deve confrontarsi Jim
Gystad, più della consolidata ritrosia dei Thorsen. Con l’evolversi
della storia, nella seconda parte di Norwegian Blues, Levi
Henrikesn sposta l’attenzione dall’ossessione per la musica,
verso gli affetti, i legami, i sentimenti, la famiglia e, non ultima,
la casa. Jim Gystad sarà costretto a scegliere proprio tra modi
diversi di intendere, sia la vita che la musica. Compreso il finale
(a sorpresa), Norwegian Blues lascia intendere che la tanto
agognata autenticità non è un elemento delle strategie di marketing
o una rarità destinata agli studi antropologici e, in effetti, non è
nemmeno un traguardo definitivo. E’ il riflesso naturale di valori
vissuti e difesi fino in fondo. Per dirlo con i Thorsen, “la musica
parla di quello che succede dalla vita in su, non più in basso”.
Una piccola fiaba moderna.
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