E’
difficile fare il sergente alla A14 (che non è un’autostrada, ma
la sezione Casi Irrisolti della polizia di Chelsea) quando si ha una
moglie pazza ricoverata in un manicomio perché ha ucciso la figlia,
non si sopportano i propri superiori (“La mia non è mancanza di
rispetto, ma di pazienza. Il mio guaio è che non riesco a sopportare
gli idioti. Mi preoccupo della giustizia, non dei gradi”) ma
soprattutto, non si cerca la giustizia, ma la verità. Una sottile
distinzione che, in Aprile è il più crudele dei mesi, viene
sviscerata da Derek Raymond con un’aderenza totale al suo
protagonista: il noir non è inteso soltanto come ambientazione,
atmosfera, stile o genere, ma è proprio un modo per vedere la vita,
o il dramma della vita. “Dove vado io, là vanno i fantasmi. Io
vado là dove si trova il male”, dice il tormentato sergente della
A14 ed è un riflesso spontaneo che si traduce in quello che sostiene
lo stesso Derek Raymond ovvero che “la funzione del romanzo noir è
di impedire alle persone di dimenticare l'orrore che regna”. Questa
dura e nobile definizione (è uno sporco lavoro, ma qualcuno lo deve
pur fare) trova una sua logica in Aprile è il più crudele dei
mesi. Al nostro sergente della A14 viene recapitato un caso che
comincia da quello che rimane di un cadavere: cinque sacchetti di
plastica che contengono, adeguatamente sezionato e bollito, un corpo
umano. La prima reazione è, a sua volta, un tentativo di individuare
un senso, difficile se non impossibile da trovare davanti a quello
scempio: “Cominciai a immedesimarmi nell’assassino. Pensavo: sono
pazzo. Sì, ma dobbiamo tutti sforzarci di sembrare normali”. Da
quel macabro ritrovamento si dipana un intreccio che comprende
malavitosi della peggior specie, agenti segreti e doppiogiochisti di
professione, politici corrotti e tutta una fauna ambigua che è
sempre pronta a tirare il grilletto. Dal canto suo, Derek Raymond non
spreca una riga, una parola. I personaggi sono chiari, evidenti, dai
contorni netti e precisi, a partire dall’autoritratto del sergente
dell’A14: “Le mie indagini le conduco a modo mio, è il grande
vantaggio di lavorare da solo. E se la cosa non garba ai miei
superiori, possono pure cacciarmi. Probabilmente l’avrebbero già
fatto, solo che non sono così facile da rimpiazzare”. I dialoghi
hanno la forza bruciante di chi sa gestire la scrittura con
naturalezza (“Perché te la stai prendendo come me? Perché hai
abitudini pericolose e sei stato dentro per omicidio. Hai strangolato
un uomo, e ti sto controllando com’è prassi, ma anche perché la
tua faccia potrebbe essere proprio il pezzo mancante del puzzle di
una nuova indagine che sto svolgendo”) e senza tanti patemi
stilistici. La storia è una rete infinita di intrighi dove le
psicologie sono determinanti almeno quanto i paesaggi perché Londra
e i sobborghi sono (come in tutti i suoi romanzi) uno scenario
perfetto e tenebroso. Aprile è il più crudele dei mesi è un
ottimo biglietto da visita per un autore che ha il merito di aver
elevato il noir, o di essersi abbassato fino a sporcarsi le mani: in
entrambi i casi, un bel coraggio.
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