Reportage di lunghe traversate “da un mare all’altro” (da un oceano di acqua salata a uno di sabbia e rocce), Il viaggiatore delle dune è uno splendido omaggio al deserto e al viaggio nelle sue vastità. Affascinante perché per Théodore Monod “l’ambiente esterno è solo accessorio al dialogo interiore”, per cui i lunghi silenzi nel vento, le difficoltà sulle piste, la vita e la morte in un luogo che è pur sempre difficile definire come tale, diventano l’occasione per ridefinire alcuni importanti punti di vista, a partire dal fatto che “bisogna dunque rassegnarsi al carattere necessariamente parziale e frammentario delle nostre conoscenze, accettare di dire il poco che stato scoperto, attendendo di saperne di più”. L’idea di “indispensabile” è l’incisione principale da seguire, tra le numerose indicazioni di Théodore Monod. Il viaggiatore delle dune infatti non cede un passo a facili esotismi, anche se è ricchissimo di dettagli, di colori, di suoni e di sfumature del deserto, dei suoi animali e dei suoi popoli. I percorsi, o meglio, le cavalcate di Théodore Monod diventano l’occasione per riflettere sulle esigenze del viaggio in sé, sui limiti innati e comunque irrisolvibili delle nostre esperienze a cui Il viaggiatore delle dune si accosta con una sacrosanta precauzione: “Non dobbiamo dare spettacolo e, di conseguenza, abbiamo il diritto di scegliere, semplicemente, la praticità”. L’avvertenza è frutto dell’estetica del deserto, dei suoi tempi, della sua atmosfera che, come pare inevitabile, vanno affrontati, in fondo, con il gusto ultimo dell’avventura, così come la descrive Théodore Monod: “E poi si respira un certo sapore di libertà, di semplicità, per non dire di più, un certo fascino per l’orizzonte senza limiti, per il tragitto senza svolte, per le notti sotto le stelle, per la vita priva del superfluo, impossibile a descriversi, ma che forse riconoscerà chi l’ha a sua volta provata”. Dentro e dietro la mutevole superficie che Il viaggiatore delle dune accarezza con insistenza, cresce un articolato glossario, a testimonianza di una ricchezza di linguaggio e di argomenti (storia, archeologia, geologia e paleontologia) che Théodore Monod gestisce senza patemi, grazie anche al gusto divertito e all'ironia, compresa la descrizione della formazione geologica del Sahara, paragonata né più né meno alla crosta di una torta. Non bastasse, vince il premio citazione d’autore pescando da Walt Withman per l’epigrafe del primo capitolo: “Imbarchiamoci anche noi, anima mia! Con gioia, lanciamoci sui mari senza piste!”. La definizione è sorprendente ed così fuori posto che il suo canto sembra sia stato sempre lì, nell’invisibile e intricata toponomastica del Sahara, e non nei meandri di Brooklyn. Colonna sonora: la discografia completa di Ali Farka Touré, non sono per l’ovvia collocazione geografica, ma anche perché che si adatta naturalmente al ritmo sensuale della scrittura di Théodore Monod, capace di trasformarci e in viaggiatori delle dune, persino nella necessaria immobilità della lettura.
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