lunedì 13 gennaio 2020

Xu Lizhi

Nei gironi danteschi della Foxconn, il conglomerato industriale cinese che produce a ritmo serrato per i principali marchi occidentali, le condizioni di lavoro sono proibitive e irrimediabili, la tensione è insopportabile al punto che l’unica via d’uscita è la più drastica. Una via senza ritorno che Xu Lizhi, operaio elettronico di poco più di vent’anni, intraprende in Sul letto di morte: “Chiunque abbia sentito parlare di me, non si sorprenda del mio abbandono, tanto meno sospiri o soffra, come in punta di piedi sono arrivato così me ne andrò”. È il 30 settembre 2014, il suo ultimo giorno di vita, e Udendo la notizia del suicidio di Xu Lizhi, un collega, Zhou Qizao, gli dedicherà un sentito commiato guardandolo in una fotografia dove resterà “in una grigia cornice sempre sorridente”. Le poesie di Mangime per le macchine tradiscono un conflitto tremendo perché inesprimibile nei suoi estremi: i prodotti di una sorta di moderna schiavitù sono in gran parte quei gingilli digitali con cui ci balocchiamo tutto il giorno, e si lasciano dietro una dolorosissima scia di fatica, sottomissione e disorientamento. Le poesie di Xu Lizhi sono sgraziate, figlie di un’urgenza viscerale: le persone diventano Mangime per le macchine, perché sono incastrate come ingranaggi nella struttura militaresca della Foxconn. È il concetto stesso di identità che vien meno nella rigida struttura della fabbrica, che non lascia scampo. La rigidità dei turni, gli orari di lavoro, la sorveglianza continua portano Xu Lizhi a scrivere in Mi addormento, proprio così, in piedi: “Mi hanno addestrato ad essere docile, non so come gridare o ribellarmi, come lamentarmi o denunciare, so solo sfinirmi in silenzio”. Versi che sono, più di tutto, il frutto di un travaglio interiore “Che io parli o meno, sarò sempre in conflitto”) di un’anima compressa dai ritmi meccanici e per niente umani della catena di montaggio. L’identificazione con la vite in Una vite è caduta a terra è l’apogeo dell’alienazione, dove Xu Lizhi arriva a riflettersi nel dettaglio metallico andato perso e destinato a essere dimenticato: “In questa notte oscura di straordinario, cadendo in verticale, tintinnando leggermente, una vite è caduta a terra. Non attirerà l’attenzione di nessuno, proprio come l’ultima volta, in cui in una notte come questa qualcuno crollò a terra”. Non ci sono appelli, rimostranze o slogan, il danno è compiuto, irrimediabile: sull’altare del profitto viene vanificata ogni speranza, ogni aspettativa e a Xu Lizhi non resta che constatare, in L’ultimo cimitero, che “qualcuno resiste ancora, mentre altri sono ghermiti dalla malattia. Sonnecchio tra loro facendo la guardia, all’ultimo cimitero della nostra giovinezza”. Eppure questi frammenti restano una testimonianza sferzante dei “tempi difficili” di Xu Lizhi che è ben consapevole della sua condizione, come scrive in Il tragitto della mia vita è lungi ancora dall’essere compiuto: “In questa oscurità, inviando un silenzioso segnale di pericolo, ancora e ancora, solo per sentire, ancora e ancora, l’eco della disperazione”. Il Mangime per le macchine non ha altri diritti: la fabbrica è casa, salario, alcova, inizio e fine che Xu Lizhi individua come limite estremo in Ho ingoiato una luna fatta d’acciaio: “Non posso ingoiare altro, e tutto ciò che ho ingoiato ora rigurgita dalla mia gola, spandendosi sulla terra dei miei avi, in un ignominioso poema”. Il suo sacrificio non è stato l’unico: molti l’hanno seguito lanciandosi dalle finestre del dormitorio industriale. Le aziende occidentali hanno rinviato ogni responsabilità alla normativa locale. La Foxconn ha fatto installare delle reti protettive. Le macchine continuano a girare e macinare mangime.

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