lunedì 2 ottobre 2023

James Yorkston

Capire cos’abbia valore è un dilemma universale che James Yorkston plasma e modella seguendo Fraser McLeod e i figli Paul e Joseph in un viaggio attraverso l’Irlanda che è “solo un grande denso, umido grigio” con “un pub ogni casa su due”. Una geografia è limitata e la destinazione provvisoria è Dublino dove il padre deve incontrare un editore che ha risposto all’invio dei suoi componimenti versi, ovvero Il libro dei gaeli in sé. Il riscontro ha acceso la speranza di un futuro migliore garantito dalla poesia, poco più di un sogno a occhi aperti. Trovare la direzione per i resti di “una famiglia di tre persone, con una valigia di qualità scadente” è un’impresa epica e dolorosa. Si succedono i mezzi di locomozione: l’autobus (quasi un miracolo), un carretto traballante, ma il più delle volte si ritrovano a camminare in un territorio depresso e ostile, dove “non cambia nulla tra un paese e un altro”. I due bambini costituiscono un microcosmo a parte: sono in lotta perenne con: a) la fame; b) il freddo; c) il sonno. L’idea di felicità è una patata fritta e starsene abbracciati al papà, ma gli eventi li portano a intraprendere ogni forma di resistenza che riescono a ideare nella lotta per la sopravvivenza. In una sosta attorno “a un fuocherello” Joseph e Paul “con le pance che brontolano ancora una volta”, si ritrovano a  chiedersi “se andremo avanti, se andremo via da qui”. Se il leitmotiv resta la strada, la vera poesia è la relazione tra i fratelli e l’amore filiale, a tratti condito con il sollievo della musica e delle canzoni. James Yorkston, che è un valido cantautore, ha il dono della voce e sa replicarla sviluppando Il libro dei gaeli come una lunga ballata: il racconto è lineare, la scrittura è essenziale, ruvida e a tratti persino grezza, ma perfettamente consona allo scopo perché segue da molto vicino i suoi protagonisti finché non si ritrovano nelle pieghe di Dublino. La città, che si rivela una volta di più un groviglio dalle profondità inesplorate, diventa una trappola. Scoprono che l’editore che aveva risposto è soltanto un anello nella lunga catena di illusioni e i bassifondi li inghiottono con una rapidità micidiale. L’intera famiglia si ritrova a prima mendicare sui marciapiedi, proprio per un caso del destino, e poi viene coinvolta in una torbida combine. A quel punto la poesia non serve più e l’intera famiglia può solo contare sull’inventiva dei due fratelli. I passaggi sono repentini, avvengono senza preavviso e in questo James Yorkston è molto acuto nel sottolineare le svolte. Se il percorso verso Dublino appare con tutti i connotati dell’iniziazione (con le prove incontrate lungo il tragitto) e nell’insieme le sfumature suggeriscono l’atmosfera di un romanzo picaresco, Il libro di gaeli si svolge in modo autonomo e coinvolgente. Ci sono almeno due livelli di lettura differenti: le azioni (e di cose ne succedono un bel po’) si svolgono in una definizione sfumata, come se fossero viste attraverso un vetro incrinato. Nello sguardo dei bambini sembra svolgersi tutto al rallentatore e invece la storia si snoda a colpi di frusta, con un background oscuro che riaffiorerà nei finali (sì, sono più di uno) mettendo definitivamente in chiaro quello che vale, oppure no. Per la poesia ci sarà sempre tempo, ma intanto Il libro dei gaeli puzza di alcol, di Irlanda, di strada, di vita, come pochi altri.

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