Quando Nerone ordina a Seneca di togliersi la vita, si manifesta platealmente quel conflitto tra autorità e libertà che si esprime nella violenza, prima, e nella morte poi. È un momento storico singolare e crudele, ma è anche uno dei tanti esempi allineati da Simon Critchley. Nelle Note sul suicidio (nella traduzione di Alberto Cristofori) sostiene che “essere liberi è desiderare direttamente il bene, e agire e vivere in modo tale da persistere in questo desiderio senza esitazioni e senza eccezioni”, e di riflesso, “uccidersi sottintende un potere sulla vita che non appartiene a noi, ma solo alla divinità, comunque concepita”. Il dilemma che attraversa fedi, istituzioni, tradizioni è uno dei tanti esplorati dalle Note sul suicidio, dove Simon Critchley non si accontenta di trovare il generico contorno di “un senso della vita” e rilancia chiedendo “in virtù di cosa la vita è o non è significativa?”. La scelta senza ritorno è l’incognita proprio nel mezzo ed è per quello che Note sul suicidio è un libro fatto di domande, acute e ottuse, nel senso di profonde e continue e insistenti. Simon Critchley pare più a suo agio nel proporre la filosofia gli estremi filosofici, da Thomas Hobbes a David Hume in parallelo alle informali evocazioni pop, dai Black Box Recorder a Morrissey a Kurt Cobain e fin qui le Note sul suicidio si distinguono per alcune prese di posizione polemiche, soprattutto verso i social, che vanno lette e rilette. Il tono è sempre garbato perché l’argomento è complesso, spinoso e delicato e Simon Critchley è consapevole che “il tema del suicidio ci rende stranamente volubili”. L’ha sperimentato in prima persona quando ha voluto realizzare un corso di scrittura creativa a New York dedicato ai messaggi d’addio dei suicidi. Un progetto estemporaneo, che faceva parte di un’installazione artistica dalle dimensioni limitate, visto che per ammissione dello stesso Simon Critchley, si presentò una quindicina di persone. Nell’intento era compresa la “provocazione rispetto al numero sempre crescente di corsi di scrittura creativa”, ma le attenzioni maggiori furono riservate al tema del suicidio in sé, che resta scandaloso e in gran parte intoccabile. Invece Simon Critchley riesce nell’impresa di fornire un quadro chiaro ed esaustivo, libero da pregiudizi e idiosincrasie e contando sul fatto che “scrivere è un prendere licenza dalla vita, un temporaneo abbandono del mondo e delle proprie meschine preoccupazioni per tentare di vederci più chiaro. Scrivendo, si fa un passo indietro e fuori della vita, per guardarla in modo più spassionato, nello stesso tempo da una distanza maggiore e da una maggiore prossimità. Con un occhio più fermo. Si possono mettere a tacere le cose, scrivendo: fantasmi, tormenti, rimpianti, e i ricordi che ci scorticano vivi”. E, come è riportato negli Annali di Tacito, all’inizio della lunga agonia imposta dall’imperatore, Seneca lasciava in eredità solo “l’unico bene che possedeva, che era anche il più bello, l’immagine della propria vita”, adeguandosi stoicamente all’estremo passaggio. Poi, come dice ancora Simon Critchley, se l’esistenza umana “è semplicemente un aspetto della vasta vibrazione vitale di un universo di materia”, le Note sul suicidio possono essere lette soltanto come l’inizio di un’indagine che, va da sé, tende all’infinito.
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