martedì 13 luglio 2021

Jonathan Scott

Ancora sul finire del 2020, le sonde Voyager, ormai lanciate ben oltre i confini della nostra galassia, rilevavano le accelerazioni di flussi di elettroni nei raggi cosmici provocate dalle eruzioni solari. Un risultato sorprendente, essendo partite nel 1977, e viaggiando con la limitata tecnologia del tempo. Insieme all’esplorazione scientifica, le Voyager trasportavano un messaggio destinato ad altri ospiti dell’infinito universo. Mixtape Interstellare racconta proprio la genesi del Voyager Golden Record e la ricostruzione di Jonathan Scott è particolarmente felice, perché discorsiva, capace di fermarsi al punto giusto quando si tratta di inerpicarsi nelle spiegazioni scientifiche e/o matematiche e in grado persino di raccontare con il giusto garbo la liaison tra Carl Sagan e Ann Druyan, sfociata poi nel matrimonio, così come tutte le eccentricità e le resistenze e le divergenze che hanno delimitato la creazione del Golden Record. Un’idea tutt’altro che bizzarra, anzi, una scintilla di umanesimo inserita nel contesto burocratico della NASA e del governo americano (e dell’ONU). Mixtape Interstellare descrive così la dedizione di un gruppo di scienziati nel cercare di formulare, in un messaggio sintetico, da realizzare in un lasso di tempo brevissimo (sei settimane dell’estate 1977) e con un budget risicato, un ritratto dell’umanità. Come scrive giustamente Jonathan Scott “questo voleva dire assicurarsi che il messaggio avesse una sensibilità globale, non arrivava dagli americani, o dagli occidentali evoluti, arrivava da tutto il mondo, e che non lo influenzassimo mettendoci dentro la nostra religione e la nostra filosofia. Ovviamente, per gli alieni non avrebbe fatto la minima differenza, ma alla popolazione terrestre avrebbe comunicato un senso d’inclusione molto più grande, ed è questo che voleva ottenere”. Al pari delle contemporanee capsule del tempo, il contenuto ospitato dalle sonde, oltre a rappresentare un messaggio per entità aliene, è un riflesso dell’identità e del bisogno dell’umanità di riscoprirsi, con la musica al centro del progetto perché, rappresenta “un’idea del valore di una civiltà” come diceva Carl Sagan, una figura centrale nell’elaborazione del Mixtape Interstellare. Tra rocambolesche ricerche, equivoci successivi (come la presenza di Satisfaction), censure e cambi di rotta il tentativo di parlare con gli extraterrestri si è rivelato anche un confronto tra arte e scienza e, all’interno di questo, tra immagini e suoni, raffinato dalla necessità di selezionare con cura e quindi di operare sia una cernita che una scelta. Definita anche dai limiti operativi: è vero che “la Nasa aveva dimostrato ancora una volta la sua apertura verso il non essenziale. Sì, l’agenzia voleva risparmiare soldi. Sì, voleva che i suoi progetti fossero approvati dal Congresso. Ma cercava anche di entusiasmare”, ma c’erano aspetti tecnici che costituivano un percorso irto di ostacoli: ogni singolo grammo di peso in più spostava gli equilibri della sonda, che voleva dire fare acrobazie su un budget ridotto all’osso e rischiare di incappare nelle maglie delle burocrazie governative, il più delle volte inamovibili. L’occasione era troppo importante per lasciarsela sfuggire perché, nei fatti, rispondeva al fortissimo desiderio espresso da Don DeLillo con La stella di Ratner: “Ciò di cui abbiamo bisogno in questa fase del nostro sviluppo percettivo è una simmetria onnicomprensiva, in grado di costituire qualcosa che sembri, magari senza esserlo, un’immagine totalmente armoniosa del sistema-mondo. È la nostra ingenuità, se non altro, a richiederlo. La nostra infantile fiducia nell’equilibrio strutturale”. Tutto da contenere in un disco: raccontata come se fosse un romanzo, l’avventura del Mixtape Interstellare è coinvolgente per la scrittura dettagliata e frizzante quanto basta e per la materia in sé perché “il disco era un’opportunità per noi umani di guardarci e di chiederci qual è la caratteristica essenziale dell’umanità”. Era quindi logico pensare a un’edizione da distribuire urbi et orbi, ma come ha detto Jon Lomberg: “Imparammo nel peggiore dei modi che era più semplice spedire il disco nella galassia che farlo uscire sul mercato”. E, anche qui, si scopre che c’è qualcosa di peggio del vuoto cosmico. Per inciso, bisognerebbe parlare di quello che hanno evitato di mettere nel Voyager Golden Record: l’immagine di un’esplosione nucleare (avremmo voluto anche che non fosse mai esistita, ma questo è un altro discorso).