Dopo l’11 settembre, “i difensori della costituzione” sono alle prese con minacce invisibili, cellule “dormienti”, intrusioni di servizi segreti alleati sul territorio della repubblica federale tedesca. Tutti vogliono risposte e se non c’è un pericolo, è meglio inventarselo. Amburgo, una città dalle mille possibilità, diventa così l’humus ideale per John le Carré che assembla tutta una serie di cliché nei personaggi adatti, una volta radunati tutti insieme, a fornire un quadro esaustivo e, va da sé, un colpo di scena finale. Annabel Richter, avvocato, idealista, di buona famiglia, viaggia in bicicletta, si crede o si sente coraggiosa e si spende con generosità, ma anche con qualche ingenuità di troppo. Tommy Brue è un banchiere che deve nascondere un fallimento latente nei suoi uffici e un matrimonio che è già fallito (ed è il secondo) e deve provvedere ad alcuni conti riservati chiamati “lipizzani”, l’ultimo dei quali è appannaggio dell’unico erede del colonnello dell’Armata Rossa Grigori Borisović Karpov, ovvero Yssa o Ivan Karpov, avuto dalla fugace relazione con una donna cecena e arrivato per vie clandestine ad Amburgo. Si scoprirà che l’entità dell’eredità è di dodici milioni di dollari, non proprio una somma frugale ed è qui che, come una forza superiore, in gran parte incontrollabile, interviene una rete di servizi segreti (tedeschi, inglesi e americani) che complottano per trasformare una partita economica nella cattura di un potenziale finanziatore del terrorismo globale. Cominciano a manipolare uno dopo l’altro tutti i protagonisti, che, passo dopo passo diventano parti di una macchinazione che ha uno scopo ben preciso, per quanto invisibile. Yssa, tanto per cominciare, non ha documenti, è in fuga ed è entrato illegalmente in Germania. Annabel, che l’ha aiutato, con tutte le buon intenzioni di questo mondo, è altrettanto a rischio per aver violato le le leggi sull’immigrazione. Tommy Brue, neanche a dirlo, ha un buco nero (e neanche tanto metaforicamente) alle spalle, tra i conti “lipizzani”, le pratiche non sempre (quasi mai) legali della sua banca e altre deviazioni di percorso. Tommy è innamorato di Annabel, anche se si rende conto che è una questione fuori discussione, per non dire imbarazzante. Faisal Abdullah è inserito nella realtà tedesca, ed è garantito al novantacinque percento ma c’è sempre quell’ultima piccola percentuale che può creare un grande danno. Sono tutti ricattabili e spendibili e per il veterano dei servizi tedeschi Günther Bachmann (e la sua assistente Erna Frey) l’occasione è troppo ghiotta per non lasciarsi tentare: così coinvolge Annabel per manipolare Yssa e arrivare ad Abdullah, che rimane il bersaglio finale. Nel frattempo i servizi inglesi impongono a Tommy Brue di prestarsi al gioco e questi li asseconda tra un colpo di testa e l’altro anche perché il rapporto con il sottobosco dello spionaggio è di lunga data, e risale persino alla figura ingombrante del padre. La storia di Yssa il buono è una matrioska scoppiettante che non lascia tregua e John le Carré interpreta con la consueta abilità l’evolversi dei personaggi e delle situazioni in cui sono coinvolti e, in parallelo, sa leggere anche le deformazioni degli apparati di sicurezza che hanno generato un clima di paranoia dopo l’11 settembre, compreso il finale tranchant, ma molto realistico.
mercoledì 24 maggio 2023
lunedì 22 maggio 2023
Robert Westall
Nel 1940 il disturbo da stress post-traumatico non era ancora stato diagnosticato. I reduci però ne soffrivano né più né meno di oggi. Anche Garmouth, una piccola cittadina inglese sulla costa, è oppressa da un lancinante disagio: ogni notte i bombardieri nazisti attaccano senza quartiere alimentando la paura dell’invasione. Con un aplomb molto britannico, la comunità di Garmouth cerca di sopravvivere, organizzando i soccorsi e le difese e provando a mantenere una parvenza di normalità nella vita quotidiana, frequentazioni scolastiche incluse. Chas, alias Charlie McGill, un ragazzo sensibile e acuto, osserva la lotta di ogni giorno da un punto di vista privilegiato, tenendo conto dei segnali che arrivano da piccoli dettagli. Se dopo il cessato allarme il carretto del latte era ancora carico era un “brutto segno”, perché “ogni bottiglia avanzata significava qualche famiglia bombardata durante la notte”. Per esorcizzare la minaccia di Una macchina da guerra, Chas e i suoi coetanei si sfidano a collezionare frammenti di ordigni: La sua, per quanto abbondante (“Undici alette di bombe incendiarie, ventisei proiettili usati, diciotto pezzi shrapnel, compreso uno lungo una trentina di centimetri, e cinquanta bossoli”), non può competere con quella del rivale Boddser Brown (“Un’ogiva di una decina di centimetri, un casco d’aviatore tedesco bello lucido, un mucchio di banconote tedesche con la faccia di Hitler stampata sopra e la foto di una ragazza tedesca con i codini che si chiama Mein Liebling”). Essendo un sognatore che deve sopportare tutto e tutti, Chas ha sviluppato la propensione a sparire nei boschi e quando trova i resti di un Heinkel 111 H, con tanto di mitragliatrice sulla torretta dorsale ancora intatta, non riesce a credere ai propri occhi. Una volta condivisa la scoperta con gli amici, decidono di costruire una fortezza, un avamposto trincerato nei dintorni della casa bombardata di uno di loro, un rifugio per la mitragliatrice (un trofeo esclusivo) e anche per prendere le distanze dai genitori. La vita nei cunicoli prevede l’aggiornamento continuo della struttura, con materiali rastrellati dalle case e dai giardini. Mentre i bombardamenti e le battaglie nei cieli continuano senza sosta, i ragazzi vogliono fare la loro parte e avere un ruolo da protagonisti, nel bene e nel male. Quando catturano un pilota nemico (ferito e stremato) si susseguono i colpi di scena, che Robert Westall sa raccontare con raffinata leggerezza, mettendo in rilievo tutte le follie e gli equivoci della guerra, che non è l’unico conflitto. C’è l’attrito con il mondo degli adulti, che sono provati e limitati, e non riescono a collocare i movimenti dei propri figli. C’è una faida contro i bulli, che imperversano nonostante i tempi drammatici, e non riescono a trovare un proprio posto e c’è una continua fuga dalla realtà, così come sono costretti a viverla, dato che “il mondo intero pareva diviso in due”. Con grande tatto, Robert Westall riesce a incastrare tutto in una trama lineare ed efficace capace di raccontare la deforme brutalità degli effetti della guerra con un punto di vista metaforico pulito e non privo di ironia. Basta e avanza.
giovedì 18 maggio 2023
Sarah Blau
Una serie di omicidi sullo sfondo di Tel Aviv. Stop. Tutte donne, vite preziose. Stop. Unico indizio: erano legate da un’antica amicizia, risalente ai tempi dell’università. Stop. È l’unica traccia e la più importante: la forma del thriller pare avere il duplice scopo di assecondare una trama più complessa che ha nel suo obiettivo la maternità, o meglio la decisione di non voler diventare madre a tutti i costi. Le altre vogliono essere diverse, a partire dal ruolo riproduttivo assegnato alle donne (in pratica, imposto), e il carattere perentorio della loro scelta lo si intuisce già dal titolo, che condensa le storie di un gruppo di studentesse di teologia che si erano ripromesse di difendere fino all’estremo la propria libertà, e il proprio corpo. Coltivavano in parallelo un’aderenza alle “donne bibliche che non hanno mai avuto figli”, come in cerca di fondamenta culturali per un patto in apparenza come tanti che si stringono in gioventù, ma che poi sono destinati a sfumare, il più delle volte. Sarebbe stato anche il destino che Le altre avrebbero incontrato, prima o poi, se solo ne avessero avuto la possibilità perché un serial killer le sta massacrando una alla volta, profanandole con rituali stregoneschi. Sheila Heller, una delle più convinte e ferventi tra Le altre, contiene agli occhi degli investigatori (non particolarmente brillanti, bisogna dirlo) tutti gli elementi per essere considerata il prossimo bersaglio, ma anche una serie di note stridenti che potrebbero associarla all’identikit del carnefice. È in una zona grigia dove può succedere di tutto e non fa nulla per impedirlo, anzi, sembra assecondare i suoi interlocutori quasi per inerzia e si ritrova proiettata indietro nel tempo, riscoprendo una volta di più che “il passato tornerà sempre a tormentarci, anche se quello che mi ha appena tirato un colpo in faccia è il futuro”. Tra un estremo temporale e l’altro, comunque sia, “giunge un momento nella vita di una donna in cui l’approssimazione è il miglior alleato” e per Sheila Heller è l’occasione di muoversi a sua volta concedendosi l’opportunità di scegliere, se non altro. Attorno a lei si moltiplicano ombre il più delle volte inoffensive (“Quel che c’è di bello nell’amicizia è che gli amici non devono per forza dirsi tutto, specialmente non la verità, che in genere è brutta e offensiva”), spesso titubanti e maldestre (in particolare le componenti maschili che sembrano quasi tangenti alle “altre”), ogni volta portatrici di perturbazioni e minuscole rivelazioni che conducono Sheila e tutti noi a ripeterci che siamo solo “la somma di ricordi ed esperienze, e nel momento stesso in cui siamo portati a riprendere in considerazione informazioni importanti che giacciono incontestate nelle profondità della coscienza, il nostro corpo, tutto il nostro essere, deve riallinearsi di conseguenza”. Su questi tratti in chiaroscuro, Sarah Blau costruisce tutta la trama, che è una falsa pista adatta a prendere per mano il lettore verso uno snodo più cruciale, cioè il ruolo definitivo della donna nella consapevolezza di una decisione capitale, quella di diventare madre, oppure no. Senza dubbio, Le altre ruota attorno a quel cardine, ma in un angolo, ancora più intimo, c’è la sensazione che si sia qualcosa di sfuggente nelle nostre scelte che non riusciamo a controllare se non per fortuna, o per caso. Stop.
martedì 28 marzo 2023
August Strindberg
Quando arriva in una piccola e bucolica cittadina svedese l’avvocato Edvard Libotz è “un uomo intelligente, di mente aperta. Già alla lettura di un caso complicato poteva tratteggiarne una prima relazione in tribunale. Sempre riflessivo e sereno, si teneva al sodo e non consentiva mai all’avversario di perdersi in chiacchiere e giri viziosi”. Le sue doti dovrebbero essere una garanzia ed è accolto dall’anfitrione naturale, che è Askanius, l’oste per antonomasia, comprensivo e indulgente, colto e assertivo, capace di condividere con i clienti confidenze e saggezze, e qualche bicchierino di troppo. Eppure, è come se un sasso fosse arrivato all’improvviso al centro di uno stagno immobile da anni. Se in Libotz c’era “anche un desiderio di riconciliazione che lo induceva a sorvolare sui tranelli”, nel posto in cui è finito i conflitti locali portano i segni di una decadenza provinciale dove i peccati non si scontano mai. L’innocenza di Libotz ha qualcosa di ambiguo perché lo porta in continuazione a vivere situazioni imbarazzanti, a partire dal sofferto rapporto con il padre e con il resto della famiglia. Una solitudine asfissiante anche quando s’innamora di Karin, la cameriera di Askanius, eppure, anche se con grande fatica riesce a esternare i suoi sentimenti, con un fidanzamento ufficiale, tutto finisce in una cappa di incomunicabilità, entre tra gli uomini si parla, e fin troppo. Tjärne e Libotz conversano “con fervore, come due naufraghi su un’isola deserta. Di sciocchezze, di niente, solo al fine di udire una voce. Per paura d’inciampare nei tristi trascorsi, evitavano tutto ciò che riguardava le loro persone; facevano i brillanti per non andarsene per la propria strada, in solitudine; si addolcivano quella siesta; mostravano i loro lati più belli e più nobili”. Gli eventi si moltiplicano e le relative dinamiche colpiscono Libotz: con l’ingenuità e i limiti con cui si accompagna, tra due, tre fuochi diversi più che un capro espiatorio, sembra una vittima collaterale ante litteram. Prima si vede “citato in giudizio per diffamazione” dal commissario Sjögren, padre del suo infedele e truffaldino praticante e lì comincia “un processo come molti altri, dove il colpevole attaccava non solo l’innocente ma persino il danneggiato”, con un non raro capovolgimento di ruoli. D’altra parte Askanius abbandona la sua trattoria e apre un ristorante di lusso, di fronte a quello rinomato che esiste già. La scontro con la concorrenza non dura molto: per la legge del contrappasso entrambi vengono superati dal “monopolio”, un’entità misteriosa ma non così irreale, che impone il Grand Hotel, la ferrovia e tutte le pressioni del progresso che Il capro espiatorio lascia uscire dall’ombra per stravolgere le psicologie dei protagonisti. August Strindberg è un cesellatore che, con tocchi raffinati, definisce i personaggi pagina dopo pagina, seguendone l’evoluzione all’interno della storia e, ancora di più, della loro mutevole personalità. Libotz alias Il capro espiatorio è comunque al centro dell’attenzione, ma attorno a lui si sviluppa, come scrive Franco Perrelli che introduce e traduce Strindberg con grande perizia, “un’onesta testimonianza sull’essere uomini”, con la dimensione appurata del classico.
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