venerdì 25 luglio 2025

James Pettifer

James Pettifer è un accademico britannico che ha dedicato la carriera agli studi balcanici ed ellenici, credenziali tutto sommato abbastanza incoerenti rispetto al New Jersey e a Springsteen e più ci si addentra nella lettura e più diventa evidente l’attrito tra la specializzazione e il suo nuovo obiettivo sull’altra costa dell’Atlantico. Poi è verissimo che “l’America possiede ancora la magia di rendere nuove le persone e le cose”, però si comincia con un bell’abbaglio, ovvero il racconto di Springsteen che va a trovare Woody Guthrie, ed è chiaro che c’è un po’ di confusione con le gesta di un altro ragazzo di belle speranze. Capita, per carità, perché Pettifer ci avvisa che “c’è sempre qualcosa di strano che ci distrae in New Jersey”, e non è tanto quello il problema, piuttosto il tentativo di tenere insieme un diario di viaggio, l’analisi sociologica e antropologica di una regione e Bruce Springsteen: un puzzle macchinoso che spesso e volentieri diventa sfuggente. Con la convinzione che “i luoghi sono importanti per la musica popolare americana”, e fin qui ci siamo, James Pettifer esplora tutte le contee e le aree del New Jersey, da Asbury Park a Flemington (la città natale di Danny Federici), dall’università di Princeton a Atlantic City e si spinge fino a Pittsburgh dove riesce nell’intento di elencare tutte le frequentazioni musicali e nello stesso tempo nell’impresa di non citare Joe Grushecky, che magari conosciamo in pochi, ma che di sicuro ha un valore specifico per la città e per Springsteen. Le sue dissertazioni comprendono il gioco d’azzardo e la passione americana per i numeri, la mafia reale e quella della fiction, ovvero I Soprano, William Carlos Williams, Walter Pater e William Burroughs, la guerra di indipendenza, i naufragi sulla costa e la speculazione edilizia nell’entroterra. La storia avanza a singhiozzo e molto dipende dal tono di James Pettifer che resta indeciso tra lo sfoggio erudito del professore (e si capisce), l’ironia a tutti i costi dell’inglese in America, e non sempre cade al posto giusto, e l’intenzione di arrivare ad altre destinazioni. Leggete uno qualsiasi degli ultimi romanzi di Richard Ford e troverete tutto il New Jersey raccontato con maggiore precisione e con molta più grazia, ma in tutto ciò più si procede e meno è chiaro il ruolo di Springsteen che viene evocato nel florilegio eccessivo di digressioni e citazione classiche dalla caverna di Platone in poi. Magic è l’album di riferimento e gli altri richiami alla discografia ufficiale sono piuttosto casuali e, se da una parte Pettifer ci avvisa che “la poesia dei suoi versi viene dal profondo della vita del Jersey”, e d’accordo, dall’altra dice che raramente Springsteen è preciso nell’evocare i paesaggi. Un’opinione piuttosto discutibile, ma tutto sommato comprensibile. Quello che fa crescere qualche dubbio in più è la sensazione che il professor Pettifer sia un po’ a digiuno delle dinamiche del rock’n’roll che sembra conoscere solo attraverso l’applicazione di qualche luogo comune. Ecco come descrive un’idea generica di un concerto: “La gente salta e giù, si sbraccia in una frenesia incontrollabile. Ragazze si sfilano le mutandine e le lanciano sul palco con attaccato il numero del loro cellulare. Il gruppo suona un pezzo dopo l’altro”. Se capita per uno show qualsiasi, figurarsi per quello di Springsteen che è sempre un happening particolare. Eppure, anche in questo caso, la percezione riguarda piuttosto l’attesa, il prezzo dei biglietti, il pubblico in coda, poi non è chiaro nemmeno a lui cosa abbia visto o sentito, fino ad accorgersi che “la musica è oltre le parole” e qui non serve laurearsi in filosofia, basta ascoltare Radio Nowhere. Almeno Pettifer è onesto e lo ammette con un certo candore: “Partecipando al concerto ho sentito che stavo diventando complice di qualcosa che non ero sicuro di capire”. È proprio come direbbe il prediletto e citatissimo Platone: “Così ora l’amato è innamorato, ma non sa dire di che cosa”. Tutte le altre elucubrazioni di passaggio sono troppe, e suonano inutilmente complicate, tant’è che in fondo il professore deve arrendersi all’evidenza e saluta l’America così: “Ci vediamo ad Atlantic City, dice la canzone, vieni nel New Jersey, esplora, viaggia. Sii vivo in un modo unico, come Bruce Springsteen e la E Street Band ti ispirano a essere con la loro musica (qualsiasi cosa il sistema ti tiri addosso)”. Ci vuole un bel po’, ma alla fine ci è arrivato anche lui.

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