martedì 23 settembre 2025

Frode Grytten

All’inizio, quando Il giorno in cui Nils Vik morì è appena illuminato dall’alba, c’è già un piccola sorpresa, Luna, un cane con il dono della parola, ed è già un particolare molto allettante. Solo che è morta, e non è l’unica. Il titolo, impietoso e sibillino, lascia intuire che anche per Nils Vik è arrivato il momento del crepuscolo, dopo una vita passata da una sponda all’altra di un fiordo norvegese. È un “traghettatore  esperto” che si è messo al timone ancora ragazzo e “aveva imparato a leggere l’acqua, il vento, le nuvole e il cielo”. Somiglia molto a Caronte e, anche se è più più gentile e paziente, i suoi viaggi non sono meno impegnativi. Nils Vik “era un uomo che navigava sul fiordo, un esploratore, ma la sua geografia era limitata”, però da quella particolare posizione riesce a trovare una condizione ideale che Frode Grytten descrive così: “E quando si è a bordo di una barca si può osservare come cambia il tempo da grandi distanze, e non serve ascoltare il bollettino meteorologico o leggere il giornale, basta soltanto notare come si comporta l’acqua del fiordo o come l’aria si raddensa, oppure il modo in cui gli uccelli si muovono in cielo”. Con la moglie Marta in cima alla lista, Nils Vik evoca un’ininterrotta danza di fantasmi e Frode Grytten condensa tutto in brevi capitoli di poche pagine, con una scrittura accurata e rifinita con cura artigianale e senza alcune pretenziosità letteraria. Le apparizioni sono composte dai passeggeri che ha ospitato nella navigazione, ognuno con le sue caratteristiche e i suoi trascorsi, a partire dalle donne che “sono speciali, belle come betulle”, ma ormai sono tutte ombre che emergono soltanto nel suo ricordo. Ogni passaggio tra le rive è anche un segmento di storia e di memoria: si assecondano Robert Soth, un fotografo americano, Lilly Gloppen, che eserciterà il diritto di andarsene,  Jon Anderson, il ragazzo/a con la chitarra, Jens Hauge, Ingrid Alst Altstædter e Kari Aga che lascerà un bel falò. Dietro ogni nome c’èqualcuno che attraversa la vita di Nils Vik: lui osserva dalla cabina della sua barca i piccoli e grandi sommovimenti e si lascia ondeggiare finché ogni singola storia diventava “un’altra, o semplicemente si dissolveva”. Gli spettri si susseguono con un ritmo assiduo e sincopato, la compagnia si allarga a femme fatale e preti, delinquenti e distratti, mentre la vita prosegue: le figlie se ne vanno, sul fiordo viene costruito un ponte che rende obsoleta la navigazione dei traghetti, i volti dei natanti si alternano sulla barca intitolata (come è giusto che sia) alla moglie, tutto scorre sul una superficie livida e tenebrosa. Ogni paragrafo è una fotografia in bianco e nero, le descrizioni del fiordo e dei suoi colori metallici sono momenti struggenti, ma le poche coordinate che segue Nils Vik toccano le variabili dell’amore, o della sua mancanza, raccontate con un garbo e una misura che sono ormai rari. Bellissimo, a tratti commovente, spesso aspro e sanguigno, Il giorno in cui Nils Vik morì (nella puntuale traduzione di Andrea Romanzi) è una ghost story rivelatrice di gioie e malinconie, e si articola in un paesaggio che “a volte è un mondo meraviglioso”, più spesso è stretto nei confini angusti del fiordo e l’unica via d’uscita è il mare aperto dove tutto finisce in un’incognita nel nome di John Berger, James Brown, Sam Shepard, Hanif Kureishi, Michael Ondaatje e Mike Scott, uno che di mare se ne intende, che Frode Grytten elenca, tra gli altri, come ispiratori di quel “dialogo” da cui è nato Il giorno in cui Nils Vik morì. 

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