venerdì 12 settembre 2025

Mike Marqusee

Quello che Dylan disse a Londra nel 1966 nel corso del famigerato tour della “Royal Albert Hall” vale ancora adesso (forse anche di più): “La musica americana in realtà non l’avete mai sentita prima. Ora voglio dirvi he quelle che state sentendo sono semplicemente delle canzoni. Non state sentendo altro che delle parole. Prendere o lasciare. Se c’è qualcosa che non vi sta bene, fa lo stesso. Non se posso più di gente che mi chiede che cosa significa tutto questo. Non significa sulla”. Del suo viaggio nel tempo, attraverso i conflitti sociali, i movimenti e le sommosse, Wicked Messenger raccoglie i pezzi, uno dopo l’altro, non senza fatica, e prova a riunirli in un mosaico che resta quello che è: una composizione, non un intero, ma comunque una bella rappresentazione di “un patrimonio vivente di dissenso politico, culturale e personale”. Su questo non c’è alcun dubbio e quella di Mike Marqusee è un’analisi molto fitta, rispetto alle cronache dell’epoca. È dettagliata e puntigliosa, per cui l’andamento a volte è farraginoso: alcuni tratti hanno ancora l’imprinting ideologico che a volte regge, e a volte no, ma nell’insieme Wicked Messenger è ricco di riferimenti e di appunti, anche proiettati verso il futuro, e riesce a far convivere la prospettiva di un artista inafferrabile come Dylan in un contesto politico dove dominava “il senso di un destino collettivo che peraltro richiedeva anche una scelta morale individuale”. Dal Village, che era già un’area fertile molto prima dell’arrivo di Dylan, con personalità come John Reed e Eugene O’Neill, alla scena folk inglese, da Woody Guthrie a Ewan McColl, le figure importanti vengono raccontate nel dettaglio, come succede per Dave Van Ronk, John Hammond o Harry Smith con un’ampia digressione sul concetto di autenticità. Un passo che introduce alla vera osservazione di Mike Marqusee: “Se interpreto le canzoni nel loro contesto musicale e politico, non le vedo come riflessi trasparenti dei tempi, bensì come oggetti espressivi plasmati da un individuo in risposta a quei tempi. Dylan non fu un fulmine passivo, un conduttore impersonale di formidabili correnti storiche. Piuttosto, fu un navigatore di quelle correnti”. Da Mr. Tambourine Man ad All Along The Watchtower le visioni dylaniane si intrecciano con gli eventi storici ed “è come se la specificità della canzone di attualità fosse stata capovolta. L’obiettivo in quel caso era di legare la canzone a eventi del mondo reale; l’obiettivo in questo caso è di far sembrare reale un mondo irreale e viceversa. È l’esperienza della storia riscritta sotto forma di fantasmagoria”. Alcune spiegazioni sono parziali (la dissertazione su Desolation Row a partire dal confronto con il verso “postacards from the hanging” è davvero limitata), ma nell’insieme Wicked Messenger ha una sua ricchezza di significati e si avvicina moltissimo a cogliere un profilo coerente di Dylan, in un momento in cui “i gesti individuali di ribellione effettivamente assunsero delle forti implicazioni politiche e, in certi casi, portarono a un impegno politico attivo. Nel clima surriscaldato di quel periodo, le scelte in tema di capigliatura, abbigliamento e musica finirono per significare più di quanto avessero mai significato nel passato o avrebbero mai significato in futuro. Significavano qualcosa che andava al di là del mero consumatore adolescente; per molti, significavano e rappresentavano la partecipazione di un grande movimento sociale”. Questo il clima e attorno a lui, Mike Marquesee riporta un continuo proliferare di personaggi legati in un modo o nell’altro alla sua figura tra cui Phil Ochs, Allen Ginsberg, Curtis Mayfield, Johnny Cash, Frank Zappa, Bruce Springsteen e Steve Earle, ed era che qualcuno riconoscesse il suo percorso. Di tutti, Mike Marqusee vaglia scelte e idee, ma poi la voce che si distingue di più è ancora quella di Dylan che, una volta lasciata l’età dell’acquario, ammetteva: “È stato tutto neutralizzato, non c’è più nulla di minaccioso, nulla di magico. È tutto troppo commerciale”. E il messaggio migliore da quel turbolento passato resta ancora quello che cantava in Tangled Up In Blue: “Alla sera c’era musica nei caffè e una rivoluzione nell’aria”. Le canzoni di Dylan sono rimaste, di tutto il resto contiamo solo le macerie.

Nessun commento:

Posta un commento