Diceva Graham Swift che “una delle funzioni fondamentali della narrativa sia quella di confrontarsi con il passato e mediare la relazione tra passato e presente”. È una precisazione molto utile per seguire tre generazioni della famiglia Beech in Via da questo mondo. Robert, il capostipite, perde un braccio nella prima guerra mondiale, viene decorato con una Victoria Cross e gli viene affidata una fabbrica di munizioni che, inevitabilmente, nel corso degli eventi, diventerà un caposaldo degli sforzi bellici. Un ritratto con Churchill celebra il momento, mentre il figlio Harry è destinato all’osservazione delle riprese aeree a cui, per naturale estensione, affianca la sua passione per la fotografia e inquadra gli equipaggi di ritorno dalle missioni, un po’ vivi e un po’ morti. Diventerà un reporter prima durante il processo di Norimberga (dove sposa Anna), poi in Congo, a Birmingham, Alabama e in Vietnam nel 1965. Quasi a riconoscersi in “un indice del ventesimo secolo”, il suo lavoro è riportato in una raccolta chiamata Conseguenze dove ammette che “il grande valore della fotografia consiste nella sua attualità, nella sua mancanza di tatto, nella sua forza d’intrusione”. Resta il fatto che momenti della storia sono “mondi piccoli. Mondi grandi. L’uno può eclissare l’altro. Quando la luna copre il sole e fa oscurare il mondo, non è perché la luna è più grande del sole” e alle alterne vicende famigliari si sovrappongono i conflitti che Harry vede attraverso le lenti della macchina fotografica, tenendo presente che “il fotografo c’è e non c’è, non è né dentro né fuori. Se ci sei dentro è terribile, ma non ci sono problemi, tu fai quel che devi fare e non hai neanche il tempo di guardare. Qualcuno dev’esserci dentro e deve anche fare un passo indietro. Qualcuno deve testimoniare”. Vale quando un attentato dell’IRA uccide Robert, spalancando un baratro nella famiglia Beech e quando, ormai nel 1982, la marina inglese fa rotta verso le Falklands che Harry definisce “una guerra da mettere in vetrina. Una guerra da esposizione. Un’ultima piccola guerra in nome dei vecchi tempi”. A New York, Sophie, figlia di Harry, e madre dei gemelli, Paul e Tim, deve confrontarsi con un analista, K., e il suo è, in pratica ,un monologo: “Come fai a sapere, quando torni tanto indietro, che è veramente un ricordo? E non quello che ti hanno detto dopo, o che hai inventato tu? O un semplice parto della tua fantasia?”, una domanda che, come molte altre, resta inevasa. Il confronto a distanza tende a escludere o dissimulare gli altri personaggi. Anna scompare nei ricordi della Grecia travolta dal golpe dei colonnelli e Joe, il marito di Sophie, pare accontentarsi di un ruolo minore (“Lo so che per me non c’è mai stato in palio niente di grosso, nessun progetto, nessun incarico particolare. Sono stato quello che si definirebbe un imprevisto, o quasi. Un ospite, e basta. Un ospite in più, alla festa”) ed è chiaro che Via da questo mondo è fondato su un impervio dialogo tra padre e figlia, separati da una bomba, da un oceano, dagli anni, al punto di chiedersi: “Ma a che serve la vita, e a che servono questi maledetti film, se ogni tanto non riesci a scoprire che il modo in cui credevi non andassero le cose, quando credevi che andassero così solo nei film, è il modo in cui vanno veramente?”. Le capriole verbali preludono alla grande novità, quando Harry decide di sposare Jenny, molto più giovane di lui, e scrive a Sophie per invitarla in Inghilterra. Graham Swift riesce a mantenere un grande e raffinato equilibrio: sarà una coincidenza, ma entrambi (Harry e Sophie) stanno volando quando percepiscono la svolta che li coinvolge, come se fosse necessaria una certa distanza dalla terra per lasciarsi andare. Proprio Sophie, mentre sta tornando con i figli in Inghilterra, dice: “Al tempo succede qualcosa. Succede qualcosa alla normalità. Ci fanno un buco. Un buco senza fondo. Così quello che in un attimo è finito continua ad accadere. Accade a lungo, al rallentatore. E poi continua ad accadere”. Ed è così che con Via da questo mondo, Graham Swift asseconda “la prima regola della fotografia: devi cogliere le cose di sorpresa; la macchina non inventa” e poi con uno stile elegante e pungente, lascia tutto sospeso sull’Atlantico, una porta aperta e un futuro ancora da scrivere.
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