Se Chroma era e resta un lascito etico ed estetico, Testamento di un santo è l’eredità di quell’idea che “fosse possibile produrre un cambiamento con azioni individuali, senza legarsi a un progetto politico convenzionale”. Si tratta di “parole coraggiose” e Derek Jarman è candido nelle sue ammissioni, non nasconde nulla (ma proprio nulla): esplicito e sferzante, Testamento di un santo è una somma di appunti che sono “una serie di introduzioni a questioni e cose da fare incomplete. Come la memoria, ha buchi, amnesie, schegge di passato, un presente frammentario. A quelli che non l’hanno vissuto, tutto ciò che potrebbe sembrare poco chiaro; quelli di noi che lo stanno vivendo riconosceranno le tracce”. Una rivisitazione urticante che tocca nervi ancora scoperti e che permette di mettere in discussione le costruzioni della società, le posizioni acquisite e inderogabili delle istituzioni e la moderazione noiosa dei benpensanti. Come dice Derek Jarman, “noi passavamo il nostro tempo a disfarci di paure e paranoie e loro passavano il loro tempo a procurarsele, chiunque loro fossero”. È un conflitto che comincia prestissimo e che viene riportato nelle pagine di Testamento di un santo in cui sembra di leggere un diario, ancora vividissimo: “Ero giovane e insicuro. Potevo essere bello e attraente ma non amavo me stesso. Provenivo da un collegio dove ero stato angariato. Questo mi rese riservato. Cercai di ripararmi, costruii difese contro il mondo. Credo che non riuscirò mai a liberarmene”. Nelle strade di Londra, la “lotta per scoprire chi sei” è una questione di sopravvivenza perché, grazie e una moralità avvizzita e ipocrita, “l’amore era un crimine peggiore del sesso”. La testimonianza di Derek Jarman si fa via via lapidaria: “Ho vissuto in questo paese per cinquant’anni discriminato, circondato dall’odio; per ignorarlo mi sono isolato, ho cambiato in modo sottile la mia vita. Nessuno è un’isola, ma tutti si sono creati la propria isola personale per far fronte al pregiudizio e alla censura. Il tempo delle buone maniere dovette finire”. Una convinzione che non si è mai piegata: “La battaglia consiste nell’immaginare una generazione, ciò che viene preso dal passato e come gli si dà corpo, che cosa è promosso e che cosa non lo è”. Con la sensazione, crudele e concreta, di avere una data di scadenza, Derek Jarman diceva: “Guardavo la vita scorrere, la gente che si innamorava, e io non facevo più parte di tutto questo. Vivevo in un’altra terra, una no-man’s land. Furono anni duri, quelli”. Il picco simbolico fu probabilmente l’emanazione Clausola 28 di Margaret Thatcher, una delle leggi più omofobe di sempre, e allora scorrono fotogrammi di un’epoca spietata dove, ricorda ancora Derek Jarman, “tutti noi abbiamo dovuto combattere con la mancanza di comprensione; abbiamo dovuto vivere sotto una grande nuvola scura di censura e ignoranza. Siamo spaventati da voi, da noi stessi e dal virus”. L’AIDS è il vero convitato di pietra nel Testamento di un santo al punto che Derek Jarman dice: “Non augurerei a nessuno gli Ottanta, sono stati anni in cui tutto il marcio saliva spumeggiando alla superficie. Se non rientravi tra gli oggetti di questo caos, potevi anche non accorgertene. Era infatti possibile sopravvivere al decennio preoccupandosi solo dell’ipoteca e dei soldi risparmiati sulle tasse. Era anche possibile, per quelli di noi che video cosa stava accadendo, girare gli occhi dall’altra parte”. Prende così forma un manifesto d’intenti che si srotola con una partecipazione assoluta e, come spiega lo stesso Derek Jarman, “questo è il motivo per cui c’è tanto sesso in questo libro, perché è quello di cui nessuno ha voglia di discutere. È importante per noi parlare di sesso, per definire noi stessi in un mondo che non ha mai parlato di noi e neppure ci ha permesso di farlo. Chi non riesce a capirlo, è proprio stupido. Quando cominci a parlarne, ti senti vivo. Se vivi nel terrore psicologico, che patti puoi fare con i tuoi oppressori? Ho ragione a vederla così, perché così le cose funzionavano e funzionano; ma diverso è il modo in cui le ho raccontate”. Intimo, doloroso, personale eppure universale, Testamento di un santo vale anche come monito a chi crede che “le libertà elementari dell’individuo”, a partire dall’espressione della sessualità, si possano difendere per legge.
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