I radiodrammi di Walter Benjamin (ne scrisse un’ottantina) costituiscono un prezioso documento riguardo al mezzo e anche al messaggio. Sullo strumento in sé, le precisazioni partono da lontano, ovvero dalla certezza che “nessuna autentica istituzione culturale ha mai preteso di prescindere dalla competenza del proprio pubblico, generata grazie ai propri aspetti tecnici e formali”. La particolare fluidità dei meccanismi radiofonici inducono Walter Benjamin a sottolinearne alcuni aspetti stringenti sulle possibilità della radio. Sarebbe sufficiente che “si rendesse conto di quanto sia improbabile tutto quello che le viene presentato ogni giorno, che considerasse quante sono le cose che non vanno, a iniziare da un tipologia ridicola degli oratori, per migliorare non soltanto il livello della programmazione, ma anche e soprattutto per formare un pubblico realmente preparato e competente”. Questo legittimo desiderio deve fare i conti con l’effimero circolo della comunicazione, in cui manca il tempo di cogliere un significato, un senso, un’idea. È quella che Walter Benjamin chiama la “tirannia dell’attimo”, poi spiegata puntualmente ancora in Il narratore: “L’informazione ha la pretesa di poter essere controllata immediatamente. Dove anzitutto essa vuol essere intelligibile di per sé e alla portata di tutti. Essa spesso non è più esatta di quanto lo fossero le notizie dei secoli passati. Ma mentre esse attingevano volentieri al meraviglioso, è indispensabile, per l’informazione, apparire plausibile. E in questo si rivela inconciliabile allo spirito del racconto. Se l’arte di narrare si è fatta sempre più rara, la diffusione dell’informazione ha in ciò una parte decisiva. Ogni mattino ci informa delle novità di tutto il pianeta. E con tutto ciò difettiamo di storie singolari e significative. Ciò accade perché non ci raggiunge più alcun evento che non sia già infarcito di spiegazioni. In altri termini: quasi più nulla di ciò che avviene torna a vantaggio della narrazione, quasi tutto a vantaggio dell’informazione. È, infatti, già la metà dell’arte di narrare, lasciare libera una storia, nell’atto di riprodurla, da ogni sorta di spiegazioni”. D’altra parte “una conversazione tra spiriti così strana” offre opportunità singolari ben rappresentate dai due radiodrammi qui selezionati per l’occasione. In Che cosa leggevano i tedeschi mentre i loro autori classici scrivevano, Walter Benjamin manda in onda un convivio che disquisisce sui due secoli dei principali movimenti filosofici e letterari europei con arguzia e ironia, toccando tutti gli aspetti, compreso il ruolo dell’editoria nello sviluppare e formare un pubblico. Un legame ricorrente nel pensiero di Walter Benjamin che uno dei protagonisti del radiodramma, lo scrittore Karl Philipp Moritz condensa così, con una punta di amarezza, ma anche con la necessaria puntualità: “Oramai abbiamo perso su tutti i fronti: il pubblico elevato si dedica alle facezie, ai versi dell’amore, ai romanzi sdolcinati, mentre la gente comune, sempre che legga, cade vittima del venditore ambulante di turno che le rifila storie a puntate di briganti e fantasmi”. Più prosaico, ma non meno avvincente il tema di Un aumento di stipendio? Ma che vi viene in mente? Dove una spicciola trattativa salariale diventa quasi un dialogo socratico, con tanto di commentatori allibiti, compreso uno “scettico” particolarmente dubbioso. Un frammento geniale che conferma quello che Walter Benjamin scriveva in Il narratore: “Chi ascolta una storia è in compagnia del narratore”. Dovrebbe essere naturale, ma è giusto ricordarlo perché con la particolare evanescenza dei mezzi a disposizione, dalla radio in poi, non sempre è così ovvio.
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