martedì 3 settembre 2019

Alejandro Jodorowsky

“È tutto nella domanda” ha detto Alejandro Jodorowsky spiegando come funziona una delle (tante) arti a cui si è dedicato, i tarocchi. Un modo come un altro per spiegare che la vita è tutta una magia e l’arte, in tutte le sue forme, è rimasta l’unico modo per comprenderla. Forse ha ragione Alejandro Jodorowsky quando dice che “le definizioni sono soltanto approssimazioni”, ma nel rapporto tra vita e arte c’è tutta la sua storia che La danza della realtà racconta come se fosse un romanzo d’avventura. Comincia con un’infanzia durissima, passa attraverso il piccolo sipario dei burattini e delle marionette per approdare al palcoscenico del teatro (“Il teatro è una forza magica, un'esperienza personale non trasmissibile. Appartiene a tutti. Basta che ti decida ad agire in un modo diverso da quello di ogni giorno perché questa forza trasformi la tua vita”). È il primo passaggio, fondamentale verso una visione caleidoscopica della comunicazione e dell'espressione che porterà Alejandro Jodorowsky a scrivere sceneggiature per celebri disegnatori (Moebius su tutti), a farsi finanziare film e happening da John Lennon, a scoprire la Parigi surrealista e la poesia d’azione di Filippo Tommaso Marinetti. Una vita costantemente sospesa tra il sogno e, come dice giustamente il titolo, La danza della realtà che alla fine ha portato Alejandro Jodorowsky a confrontarsi con la magia, i tarocchi, lo sciamanesimo e tutte quelle energie invisibili che sovrastano la nostra quotidianità. L’identificazione di quelle forze è il nucleo centrale attorno a cui ruota tutta La danza della realtà e che Jodorowsky sintetizza così: “I miracoli sono paragonabili alle pietre: si trovano ovunque e offrono la loro bellezza, ma nessuno ne riconosce il valore. Viviamo in una realtà dove abbondano i prodigi, ma li vedono soltanto coloro che hanno sviluppato le proprie percezioni. Senza tale sensibilità tutto è banale, l'evento meraviglioso viene chiamato casualità e si cammina per il mondo senza avere in tasca quella chiave che si chiama gratitudine. Quando si verifica un fatto straordinario lo consideriamo un fenomeno naturale di cui approfittare come parassiti, senza dare niente in cambio. Invece il miracolo richiede uno scambio: ciò che mi è stato dato devo farlo fruttificare per gli altri. Se non viviamo uniti agli altri non possiamo captare il portento. I miracoli non li provoca nessuno”. Buona parte della sua autobiografia è dedicata proprio all’aspetto esoterico con la differenza che Alejandro Jodorowsky è distante anni luce dalle vacuità della new age e da certo spiritismo di seconda categoria. La sua è arte che diventa magia, e viceversa. Più di tutto è un metodo, non una stregoneria, la cui evoluzione comincia dalla conoscenza e dall’ignoranza: “Ogni volta che tentavo di soddisfare le mie passioni dimenticavo che stavo sognando. Alla fine ho capito che, nella vita, come nel sogno, per rimanere lucidi occorre prendere le distanze, tenere sotto controllo il processo di identificazione”. Ecco a cosa servono le domande, i miracoli, le magie: a capire perché “non si può guarire nessuno, si può soltanto insegnare a guarirsi da soli”. Un segreto antico che Alejandro Jodorowsky ha scoperto con l’avventura di una vita intera.

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