martedì 5 novembre 2019

Simon Blackburn

Partendo da una riflessione stimolata dallo slogan pubblicitario “perché tu vali” (un messaggio molto subdolo), Simon Blackburn esplora, nelle intenzioni ufficiali, “pregi e difetti del narcisismo”, per poi lasciarsi trasportare dalla curiosità e dall’istinto verso considerazioni che vanno ben oltre la specificità introdotta da titolo e sottotitolo. In effetti, il riflesso dello specchio è un simpatico inganno che, allineando “orgoglio, autostima, vanità, arroganza, vergogna, umiltà, imbarazzo, risentimento e indignazione”, riesce a far convivere un’erudita dissertazione filosofica con un’ormai doverosa critica sociale. La vanità è un complemento non indifferente degli strumenti di controllo, ma questo l’aveva già notato Noam Chomsky in Linguaggio e libertà quando scriveva che “uno degli strumenti adatti a questo scopo è la creazione di una sorta di star system, una parata di personaggi che spesso sono tali solo perché creati dai mezzi di comunicazione di massa o dalla propaganda del mondo accademico, personaggi di cui dovremmo ammirare la profondità di pensiero e ai quali dovremmo in tutta serenità concedere il diritto di dirigere la nostra vita e i nostri affari internazionali. In realtà, il potere è fortemente concentrato nelle mani di piccoli gruppi che si intersecano a vicenda e sono basati, in larga misura, sulla proprietà delle grandi imprese private, nonché sui gruppi elitari a esse collegati che guidano la vita intellettuale, la politica e l’amministrazione”. È qui che Specchio delle mie brame si rivela con toni perentori dato che “l’avidità, come abbiamo visto, è il desiderio smodato dell’invidia altrui, o il desiderio che altri si considerino inferiori a noi”. Un secolo di guasti sono lì a dimostrarlo e Simon Blackburn è convinto che “Thatcher, Reagan e Milton Friedman hanno prevalso e il loro dominio assoluto sullo spirito del tempi continua, a dispetto dei visibili danni ai loro popoli”. Cosa significa, lo spiega in termini talmente elementari e chiari da risultare persino brillante: “Un uomo (di solito sono uomini) nel consiglio di amministrazione di una banca può convincersi che ci voglia una genialità per offrire un tasso di interesse dell’1 per cento a chi presta denaro all’istituto (i clienti), prestandolo invece con un tasso del 16,5 per ceto a chi chiede un mutuo e intascando quindi la differenza”. C’è voluto un filosofo per dirlo e per farci notare, di conseguenza, che per quanto ambiziosi e pretenziosi restiamo “i goffi e corporei animali, non gli immateriali controllori che stanno all’ultimo piano”. L’allarme rosso è implicito e nel contemplare integrità (“Il senso del proprio valore è una posizione o disposizione morale”) e autenticità (“L’autenticità, tuttavia, non è semplicemente la corrispondenza tra pensiero interiore ed espressione esteriore, anche se la implica. Essa richiede in più il conseguimento di un risultato interiore, la profonda conoscenza o consapevolezza di sé, unita alla determinazione a esprimere tale sé in scelte, azioni, inclinazioni o sentimenti”) il punto di vista Simon Blackburn segue l’effetto singolare dello specchio, con eccentrici collegamenti tra la vita segreta di Walter Mitty (un film che, grazie alla sua leggerezza, merita di essere visto e rivisto) e padri del pensiero filosofico perché “l’irrequietudine del desiderio” con ogni probabilità si può seguire soltanto così, poi ci si può soltanto rimettere a Kant: “Due cose riempiono la mente di ammirazione e stupore sempre nuovi e crescenti, quanto più spesso e approfonditamente ci pensiamo: il cielo stellato sopra di me e la legge morale dentro di me. Non mi limito a congetturarli e a cercarli come se fossero nascosti nelle tenebre o nella ragione trascendente al di là del mio orizzonte; li vedo di fronte a me e li associo direttamente alla coscienza della mia esistenza”. Il tema, come non potrebbe essere diversamente, è l’identità, “la mappa che guida il nostro viaggio: anche per sapere dove siamo, per poterci orientare, è necessario sapere chi siamo”, e il suo propagarsi verso il prossimo, dove “abbiamo abitudini di comportamento e richieste verso gli altri e aspettative su di loro, esattamente come loro ne hanno su di noi. Tutte queste cose costituiscono il nostro mondo sociale e morale”. Bisogna districarsi nel forbitissimo slalom di Simon Blackburn per provare che “la vita è un processo, non un prodotto”, e che, come aggiungerebbe l’ineffabile Walter Mitty, “non devi per forza fare lo stronzo”. Ci vuole un po’ per capirlo, ma deve essere proprio così.

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