Secondo Raffaele La Capria ormai “la realtà è sopraffatta dalla sua rappresentazione” e per evitare le trappole dei luoghi comuni quella di Predrag Matvejević è “una Venezia fatta di scrittura che diventa materia e sensazione, materia e sensazione che riceviamo da Venezia, sensazioni di umido, di acqua, di marcio, di tempo, di bellezza, di passato, di malinconia, di miraggio, di marmo, di sabbia, di fango, di oro, di sfumato, di splendente, di torbido, di Venezia insomma, dell’indicibile Venezia”. Non poteva esserci introduzione migliore: quando Matvejević si immerge nella città, si accorge ben presto che “tra l’oscurità che cala e la nebbia che si infittisce, le forme diventano contorni. La banalità scompare”. La sua è un’esplorazione istintiva, segnata da un’osservazione spontanea, se non proprio affidandosi al caso, come se fosse una riduzione pratica del destino. È una Venezia (e la sua Laguna) vista dal basso, fuggendo la panoramica del turista, inoltrandosi in vicoli e in sprazzi di mare, come refoli di scirocco ormai incontrollabili. La caccia al tesoro di Matvejević segue proprio le curvature nell’aria perché “a tradurre le forme del vento sono i rami curvi degli ulivi e dei pini, le erbe e le canne piega là dove sono esposte al turbine, macchie e cespugli, frumenti e biade allettati: in essi il vento ha lasciato le sue impronte, i suoi giochi, le sue figure”. La catalogazione della flora, sui muri e sul fondo dei canali, e della fauna segue una ricerca fatta di sguardi attenti alle sfumature dei tramonti così come alle geometrie dei ponti, dei cortili, dei pozzi e delle botteghe. Vengono portati in rilievo i cocci e le sculture “esterne” ed “erratiche”, i segni per le navigazioni, le scritte sui muri e persino l’onnipresente ruggine che appare “sfarzosa. La patina somiglia a una doratura”. È un paradosso, uno dei tanti della “città più inverosimile che sia”, che risale alla genesi della città. Nel suo Viaggio in Italia, Goethe sosteneva che, “non è stato per caso che quegli uomini (i veneziani) si sono rifugiati su quegli isolotti; non è stata una volontà straniera a incitare altri a unirsi a loro. La necessità li ha abituati a cercare la sicurezza nella situazione più sfavorevole, per loro diventata la più propizia: essa ha illuminato il loro spirito mentre, al Nord, il mondo intero era ancora nell’oscurità”. L’originalità di Venezia brilla nelle voci dei gondolieri, nelle navi affondate dai monaci per proteggersi dalle burrasche, negli anfitrioni che si distinguono tra un’ombra e l’altra. È così che Venezia “è diventata un’idea ed è rimasta a un tempo la città viva che l’umidità invade; è un’illusione e anche il luogo concreto che le onde adriatiche inondano; una rappresentazione della realtà e la realtà stessa che, a volte, si confondono l’una con l’altra o si oppongono a vicenda”. Predrag Matvejević colleziona anche vecchie e rudimentali fotografie, incisioni in rame, antiche mappe costruite assecondando voci e osservazioni riportate, annotazioni di una storia ricchissima e mutevole che si allunga su tutto l’Adriatico e per naturale estensione al Mediterraneo dove Venezia si colloca tra le altre città, Roma, Atene, Cartagine, Alessandria, Beirut, Napoli, Siracusa, Dubrovnik, Genova, Marsiglia, Siviglia, Istanbul, Gerusalemme, un mare cosmopolita. Un piccolo gioiello.
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