Le qualità di un uomo che rettifica ogni testo, anche quello di un foglio di giornale che rotola nel vento, sono messe a dura prova dalla dissoluzione delle ideologie del ventesimo secolo. Il Gufo alias Il correttore è consapevole che “ogni erratum è una menzogna definitiva” e si applica con totale partecipazione a verificare “i protocolli giudiziari, gli atti di compravendita, gli avvisi delle finanze pubbliche, i contratti, le quotazioni in borsa” e, ancora, “la giustificazione delle colonne di cifre più lunghe, gli sterminati elenchi di oggetti smarriti messi all’asta dalla posta o dall’azienda dei trasporti pubblici”. La deformazione professionale lo porta a cercare con ossessione la precisione e la correttezza mentre i sistemi collassano all’improvviso: l’esistenza frugale del Gufo si scontra con gli interrogativi delle grandi utopie e allora lavora “per correggere il più infimo refuso in un testo che forse nessuno leggerà mai o che verrà mandato al macero il giorno dopo”. Lo scopo è “l’esattezza. La santità dell’esattezza. Il rispetto di se stesso”, ma è difficile crederci mentre tutto intorno il tempo si sgretola trascinando nel crollo le illusioni, le certezze, i destini scritti nei libri di storia. Non c’è alcuna possibilità di controllo o di riforma per il Gufo, davanti alle folle che sventrano muri o al cospetto di torture indicibili. Troppi errori che non si possono rimuovere, troppe deviazioni incontrollabili, variabili di un futuro improprio, non previsto, non malleabile. Nel frammentario dialogo con i compagni, (padre) Carlo, Maura e Lombardi, alla ricerca di motivi spazzati dal caos, dalla violenza, dalle atrocità commesse in nome di un partito, di un dittatore, di un diktat, il Gufo cerca di tenere una posizione, di rispettare il confronto, di accumulare argomenti ma, nel buio, sembra non restare niente delle costruzioni umane, come se fossero soltanto teorie ormai bruciate, distrutte. La fragilità è intrinseca, l’inesattezza è dietro l’angolo e resta solo una notte con Maura, i corpi avvinghiati nell’ombra. George Steiner tesse una sottile trama, a tratti sfuggente e impercettibile, ma lascia scivolare alcune domande con un peso specifico enorme. Riesce a ridisegnare l’apparato emotivo di fronte alle grandi questioni della civiltà, dove la logica non trova risposte sufficienti, anzi, va in crisi e crolla. Il correttore è un romanzo che comprime le svolte storiche, proprio mentre diventano fenomeni dialettici. Quando il Gufo si vede compromesso in una realtà o la sua percezione che gli sfugge di mano, la razionalità delle parole appare quasi inutile, figurarsi se cambiare il nome a un partito o addirittura a una nazione può servire a qualcosa. Nei suoi tormenti quotidiani (e notturni), le aberrazioni sono vietate eppure il mondo sembra non poterne fare a meno, lasciandolo con la “convinzione fuggevole e folle che l’universo abbandonato, come una casa lasciata aperta dopo la partenza dei camion dell’impresa di traslochi, sarebbe sprofondato nell’oblio se lui non fosse riuscito a realizzare il suo scopo del momento”. Il correttore vive la solitudine della politica, che non ammette revisioni, e non lascia speranze, soltanto piccole, trascurabili note a piè di pagina.
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