Il vampiro è un nobile parassita e, a vederlo bene, Dracula sembra una specie di metafora fantastica dell’oppressione dinastica su un popolo inerme. Un’aristocrazia decaduta e perversa che prospera grazie al controllo dei miti e delle storie, ma che è dannata dalla sua stessa ingordigia. Forse è solo un riflesso, ma Dracula non si vede nello specchio. Per come si sviluppa la sua versione più conosciuta, Dracula lascia immaginare sotto il coagulo di mistero e leggenda, una metafora non del tutto improbabile, a ben pensarci. Il principe delle tenebre è l’espressione di un mondo ormai al tramonto, quello degli imperi e delle monarchie, che si nutre con avidità del sangue della plebe. Non è forse un caso che gli strenui avversari di Dracula appartengano a una borghesia giovane, colta, promettente e illuminata rappresentata prima di tutto da Jonathan Harker, che fa affidamento alla logica degli strumenti della cultura e della scienza per sconfiggere il subdolo nemico. La figura in cui si concentrano le risposte della razionalità (e nello stesso tempo delle conoscenze esoteriche) è Van Helsing che diventa un po’ il cardine attorno al quale ruota tutta la resistenza ai vampiri. Un ruolo che diventa evidente in un colloquio con il dottor Seward nella fase centrale del romanzo: “Voi non permettere a vostri occhi di vedere a vostre orecchie di udire, e tutto quanto è fuori di vostra vita quotidiana non riguarda voi. Non credete che sono cose che voi non potete capire e che tuttavia esistono? E che alcuni vedono cose che altri non possono? Ma esistono cose antiche e nuove che non possono essere contemplate da occhi di uomini solo perché essi conoscono o credono di conoscere cose che altri uomini hanno detto loro”. Il senso, a saldo dei limiti linguistici di Van Helsing, è chiaro: serve il coraggio di guardare nel buio e di non fermarsi all’osservazione di Mina Harker, che non ci capacita di come possa essere “tutto così barbaro e misterioso e strano”. Ha ragione anche lei, perché del resto Dracula è comunque l’anfitrione di un universo premoderno dove contano la forza fisica, i rituali e quegli istinti primordiali che, a sua volta, vengono risvegliati nei suoi avversari. La traversata in mare su una nave fantasma, l’arrivo in una Londra particolarmente labirintica rappresenta il momento cruciale per Dracula perché troverà nei meandri della città troverà più di un complice per perpetrare le sue nefandezze e per soddisfare la sua sete. Ma forse c’è qualcosa di più, ovvero l’idea di inseminare l’impero britannico e nutrirsene e, paradossalmente, salvarlo dal suo destino. Invece, il viaggio a ritroso verso la Transilvania, quando il predatore sta per diventare la preda, trasforma uomini di scienza e di finanza in cacciatori, ma la battaglia è soprattutto con il clima, l’atmosfera e l’oscurità in cui si manifesta tutta lo spirito animalesco che Dracula attira e condensa in sé. Il dottor Seward avverte che “l’opera che ci attende comporta una tremenda difficoltà, un pericolo ignoto”. In qualche modo, lottare con il vampiro comporta condividerne gli appetiti e le abitudini, compito che tocca a Mina Harker, poi, come dice ancora Van Helsing “il criminale lavora sempre a un unico delitto”, e diventa prevedibile, anche se è un essere potenzialmente immortale. La differenza, forse, è proprio qui: gli altri hanno un’arma segreta perché “è davvero meravigliosa la capacità di recupero della natura umana. Basta che una causa di ansia, quale che sia, venga rimossa in un modo o nell’altro, fosse anche dalla morte, ed eccoci tornare spontaneamente ai naturali principi della speranza”. È qualcosa a cui Dracula non può accedere ed è il suo tallone d’Achille: nella nefasta (non) esistenza che conduce, neanche la morte può dargli sollievo. L’elaborata e macchinosa costruzione di Bram Stoker tra epistolario, pagine di diario, messaggi e cronache quotidiane scompagina il racconto e contribuisce a formare un classico che attinge dal folklore, così come dalla scienza per diventare una storia capace di tramandarsi all’infinito.
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