Nelle fantasmagorie e negli svolazzi che adornano La ballata di Miss Fortune prende forma una singolare parodia del potere, che si dipana attraverso un intricato albero genealogico. Uno di questi rami, il più importante, vede protagonista la discendenza di Geoffroy Loveall: “La sua natura rassegnata, la delicata sensibilità e la sua accettazione indifferente dell’eredità che gli toccava portare (una crudele parodia del padre che, benché fosse un uomo buono, non era mai stato debole) lo spingevano soltanto a fare le cose che non poteva evitare”. Nel labirintico maniero di Love Hall, le (apparentemente infinite) risorse della famiglia sono continuo oggetto di desideri e appetiti che Geoffroy trascura e snobba. Ma le trame si fanno sempre più assidue e quando ormai è giunto al crepuscolo, la svolta è inevitabile. Siamo in piena era vittoriana (1820) e Geoffroy Loveall trova un bimbo a cui affida il ruolo di figlia, sottolineando l’assunto fondamentale su cui si basa La ballata di Miss Fortune, ovvero che il genere è una scelta e l’identità resta una scoperta perché “è un sollievo trovare il livello che ci si addice a questo mondo ed essere in grado di rimanerci”. Le trasformazioni all’interno di Love Hall comportano un cambio radicale perché come dice il/la protagonista adottato/a dalla strada: “Accettavo molte cose per quel che erano, altre invece mi confondevano, cose di me che avrei molto desiderato capire”. Il suo destino è legato al moltiplicarsi di intrighi, sotterfugi, promesse e complicazioni che vedono protagonisti di volta in volta Anonyma, la bibliotecaria che diventerà moglie di Geoffroy Loveall, gli amministratori Hood e Hamilton, gli altri rami dell’albero genealogico (gli Osbern e i Rakeleigh), le servitù e le dinastie, l’impero e la chiesa in un denso tourbillon di colpi di scena, anagrammi (come i nomi scritti nel frontespizio della copia delle Metamorfosi di Ovidio, un volume che avrà un ruolo fondamentale nella storia di Love Hall) e canzoni che svolgono un compito importante nella narrazione. Sono un intercalare costante e in qualche modo naturale per Wesley Stace, che continua la sua carriera parallela di songwriter come John Wesley Harding. Sarà proprio una ballata a risolvere l’intricato sovrapporsi di intrighi e complotti, ma per scoprirlo bisogna seguire Pharaoh, un personaggio la cui vita era “un lungo ciclo di canzoni inventate da lui”. Si nota all’inizio e alla fine, perché “a volte meno pensava al mondo di fuori e meglio stava, perché più cercava di capirlo e meno gli riusciva. Però conosceva bene il suo lavoro e le canzoni lo tenevano calmo, quelle che inventava e quelle vecchie, che potevano sempre essere migliorate. Servivano a tenere a bada il mondo e lontani i pensieri e le preoccupazioni di entrare nella sua testa, anche adesso”. Le canzoni restano propiziatorie, dato che “la vita è vissuta più nei dettagli, nei libri mastri e negli orari ferroviari che nella sfera platonica della teoria perfetta”, ma si rivelano indispensabili quando le rivelazioni di Love Hall scoperchiano la fredda realtà delle ambizioni per la ricchezza e il potere, dimenticando che, in fondo, “ciascuno è il sogno di qualcun altro”. Il messaggio è chiaro, l’illustrazione è molto più elaborata: La ballata di Miss Fortune è un romanzo contorto e originale reso affascinante dalla scrittura di Wesley Stace che è un florilegio di linguaggi, rebus e calembour che, a conti fatti, svela il lapsus dylaniano del suo alias musicale.
Nessun commento:
Posta un commento