In questi interventi George Steiner si confronta con la rapida evoluzione (involuzione?) del testo scritto nell’era digitale, ma i suoi interrogativi sulla funzione della scrittura in generale e della letteratura in particolare, che partono da riflessioni profonde e articolate sulla forma del libro in sé, e sulle sue mutazioni. A partire dall’impressione che “la lettura diventerà un continuo traffico elettronico, piuttosto che un’attività solitaria, e la scrittura, perfino quella del romanziere, sarà uno scambio aperto, on line, tra l’autore e il pubblico”, si evolvono in una valutazione più ampia sul valore dei libri che secondo George Steiner restano “la chiave d’accesso di cui disponiamo per arricchire la nostra esistenza”. Questa considerazione è la base su cui si intersecano le coordinate di scrittura e lettura con i falò, la censura, il dispotismo, le aberrazioni che sono generate da volumi assurdi o funzionali a tutt’altro che al clima in cui i libri hanno bisogno per sopravvivere e moltiplicarsi che secondo George Steiner deve essere composto da “silenzio, intimità, cultura letteraria”. Da Atene e Gerusalemme, il bivio della cultura attraversato con Platone, Kant, Goethe, Dostoevskij convince George Steiner a ricordare che “il concetto di lettura, considerato un processo che fondamentalmente appartiene alla collaborazione, è intuitivamente convincente. Il lettore impegnato collabora con l’autore. Comprendere un testo, illustrarlo nel quadro nella nostra immaginazione, della nostra memoria e della nostra rappresentazione combinatoria, equivale, seppur nei limiti delle nostre capacità, a ricrearlo”. Questa reciprocità consente di immaginare che “un refuso tipografico può rendere immortali” e nello stesso tempo rivela che abbandonarsi alla lettura “è come lasciare che il mito, la preghiera, la poesia si ramifichino e si sviluppino dentro di noi, modificando, arricchendo il nostro paesaggio interiore nel quotidiano: nello stesso tempo, a loro volta essi subiscono un cambiamento e si arricchiscono grazie al nostro viaggio attraverso la vita”. I libri non sono soltanto le pietre di un guado tra l’autore e il lettore che restano “vincolati dalla garanzia di un senso”. Secondo Steiner “finché un testo sopravvive, da qualche parte sulla terra, anche in un silenzio ininterrotto, è sempre capace di risuscitare” e “leggere, nel vero senso del termine, una pagina di Kant, una poesia di Leopardi, un capitolo di Proust, significa avere accesso a momenti di silenzio, alla salvaguardia dell’intimità, a un certo livello di formazione linguistica e storica pregressa”. Il ritornello dell’intimità torna spesso nelle digressioni di Steiner perché se “la solitudine che rende possibile un incontro approfondito tra il testo e la sua ricezione, tra la lettera e lo spirito, oggi è una singolarità eccentrica, psicologicamente e socialmente sospetta”, è una delle componenti fondamentali per “lasciare che i libri vivano la nostra vita, completamente o in parte, significa rinunciare tanto ai rischi quanto alle estasi del primario. In ultima analisi, la scrittura è essenzialmente artificio”. Il suo destino è captare il significato e aiutarci a capire come “ciò che non impariamo e non sappiamo a memoria, nei limiti dei nostri mezzi sempre insufficienti, non lo amiamo fino in fondo”. D’altra parte mentre I libri hanno bisogno di noi, ci offrono soprattutto “il privilegio di vivere le nostre passioni”, e a quel punto le distanze tra scrittura e lettura si assottigliano perché “lo studioso, il lettore autentico, lo scrittore è permeato dalla spaventosa intensità della narrativa, è formato per rispondere al più alto grado d’identificazione con il testuale, con il fittizio”. Un piccolo manuale di istruzioni, ma un notevole sguardo d’insieme su ciò che contengono i libri e sulle infinite possibilità che aspettano i lettori.
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