All’inizio l’atmosfera è quella di un noir d’altri tempi: la pioggia, la notte, una donna sola, un omicidio avvolto nel mistero. Non manca nessuno dei cliché, ma Clarissa Goenawan non introduce l’ennesimo investigatore e ben presto le necessità poliziesche di Rainbirds saranno ridotte al minimo sindacale. Attorno alla fine Keiko Ishida che aveva lasciato Tokyo per Akakawa si sviluppa un vortice di legami avviluppati da ricordi, segreti, sotterfugi. Per Ren Ishida, la morte della sorella apre un varco personale inaspettato, ma in qualche modo ineludibile: “È bello essere giovani, tutto sembra possibile. Quando si invecchia ci si dimentica com’era sognare. Prima di rendertene conto, un giorno ti svegli e ti guardi allo specchio, chiedendoti chi sia l’uomo di mezza età che hai davanti”. Succede mentre si trasferisce ad Akakawa per le esequie della sorella, ed è lì che Ren Ishida diventa un po’ il catalizzatore di storie che si scoprono incastonate una dentro l’altra, seguendo quello che è il collante di Rainbirds, una catena di profili femminili che si impone sulla e nella storia. Madre, figlia, amante, moglie: tutte le figure si distribuiscono a strati nel racconto di Clarissa Goenawan, ognuna con il suo peso. Scorrono le intemperanze di Seven Stars, l’abulia della signora Katou, l’accortezza di Izumi, l’assenza di Nae e, di nuovo, il ricordo di Keiko che scrive: “L’amore arriva quando meno te lo aspetti. Ecco perché in inglese si dice cadere nell’amore. Non si può imparare a cadere, né si può pianificare di farlo. Capita di cadere e basta”. L’omicidio di Keiko diventa relativo per quanto sia la scintilla da cui scaturisce tutto: per Ren, il rapporto con la sorella è una ferita, e il romanzo è costruito da intricati codici, come se tutti avessero qualcosa da nascondere o da rivelare. Clarissa Goenawan con un tatto semplice e raffinato nello stesso tempo, sa mostrare i gesti, il cibo, gli angoli e le sfumature, lasciando alle singole voci dei personaggi il compito di spiegare l’evoluzione delle circostanze. È così che Rainbirds è un romanzo che si muove in una zona sfumata tra i sogni e la realtà: l’intreccio della trama si svolge su più piani che si sovrappongono e si alternano con il ricorso al flashback e alle diverse dimensioni temporali, comprese le numerose parentesi, a partire da quella con Jin e Anzu, che si rivelerà importante nel determinare lo svolgersi finale. Le porte si aprono su segreti e deviazioni famigliari: le consuetudini e le tradizioni giapponesi, descritte in ogni dettaglio, con una grazia amanuense, si scontrano con una solitudine atavica, compressa nella gentilezza e nelle formalità, e fluttuante tra una casa vuota e quella dopo. È un labirinto e tale andrebbe considerato, compreso il rischio di perdersi. Se serve una chiave di volta va cercata in un passaggio di Salman Rushdie, visto che I figli della mezzanotte è uno dei libri citati da Clarissa Goenawan attraverso i suoi personaggi: “La realtà è un fatto di prospettive; quanto più te ne allontani, tanto più il passato ti pare concreto e plausibile, ma come t’avvicini al presente, esso ti sembra inevitabilmente sempre più incredibile”. Succede così in Rainbirds, e si tratta di svoltare un angolo dopo dopo l’altro, assecondando i cicli, le sequenze, i temi ricorrenti proprio come nel jazz. Una passione che in qualche modo delimita la personalità di Keiko e i contorni del romanzo dato che comincia con Billie Holiday e finisce con My Favorite Things di John Coltrane, per cui va tenuto conto dell’imprevisto, dell’improvviso e dell’eccentrico, ma, più di tutto, del mood che riesce a creare. Un ottimo esordio.
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