mercoledì 1 dicembre 2021

Tahar Ben Jelloun

Per Tahar Ben Jelloun la poesia è antecedente agli sviluppi della prosa e Stelle velate è una raccolta che rappresenta un’ottima introduzione e insieme una valida antologia della sua creazione poetica. Anche perché il senso della scrittura è uno degli argomenti ricorrenti di Stelle Velate, fin da dove Tahar Ben Jelloun ammette: “Scrivo per non aver più volto. Scrivo per dire la differenza. La differenza che mi avvicina a tutti quelli che non sono io, quelli che compongono la folla che mi assedia e mi tradisce. Non scrivo per loro, ma dentro di loro, e con loro. Mi getto nel corteo della loro alienazione. Mi precipito sullo schermo della loro solitudine. La parola tagliente”. La lotta è dichiarata, e imprevedibile nei suoi risultati, non di meno viene intrapresa con grande spontaneità: “Incomincio il gesto in una memoria furibonda e do inizio allo spoglio. Apro la pagina delle mie debolezze, delle mie insufficienze, delle mie illusioni e del mio errore. Scopro la vergogna”. La gamma delle interazioni parte da quando “il verbo si coagula in pugni alzati” e si articola fluttuando di verso in verso, con Tahar Ben Jelloun che dice: “Mi affido all’equivoco oscillare delle parole, nella nudità dei loro limiti, e affronto ciò che resta. Poca cosa. Mi resta la sopravvivenza della parola legata e consumata”. Il rapporto con la pagina che gli si apre davanti è tormentato, ma ineludibile e allora si chiede, ancora: “Perché la nostra storia è disseminata di disfatte? È forse la rovina delle parole? Una polvere bianca cade sul viso, è un po’ di cielo che ci chiude gli occhi”. Nella luce delle Stelle velate e nelle “città vedove della vita” ci sono “uomini sotto sudario di silenzio” che cercano una via, un luogo, una destinazione. Il disorientamento e lo smarrimento sono costanti che si ritrovano in La mia patria è un volto (“Fai la tua dimora nella parola trattenuta, sulla riva di una frase. Non essere impaziente. Guarda l’erba dei vocaboli. L’infante calerà la felce del crepuscolo”) e in Notizie dal paese (“Al mio paese non si fa prestito, si spartisce. Un piatto restituito non è mai vuoto: del pane, qualche fava o un po’ di sale”). Sono i motivi principali della partenza che si manifesta in Contagiato dal deserto: “La nudità è una sera d’estate, una fiamma custodita tra le nostre mani, un fiume solitario di cui siamo origine e sorgente”. Il pellegrinaggio comincia così, con le sembianze di una fuga: “E noi, espulsi dal vento, aneliamo al nulla, al deserto assoluto, esilio estremo, per sempre separati da coloro che hanno offeso e affamato l’uomo e noi”. È un cammino arduo e faticoso (“È questo il deserto. Un dolore riportato in città o in un villaggio di montagna”) che incontra domande angoscianti (“È una tempesta o è il ritratto della nostra disfatta che si disegna tra le nuvole? Vinti lo siamo da noi stessi ed è l’abisso ciò che ci attende”). Il viaggio è particolarmente impegnativo, anche nel suo sviluppo metaforico (“Ci siamo persi. Lo siamo da tanto tempo. Le nostre guide ci camminano sulle spalle. Sono sempre armate. Non sanno né cantare né danzare ma scrivono poemi di circostanza e discorsi opachi. Sputano sulle facce anonime, come festini dei tempi antichi”) e nella concretezza dei versi di Tahar Ben Jelloun (“Camminiamo spogliati non per virtù ma per necessità, le nostre cose ci inseguono e ci irridono, la nostra storia è carica come una vecchia mula. La bestia ci precede pesante e millenaria”) che portano, in fondo, all’amara constatazione: “Arriviamo sempre in ritardo per vivere, ma per morire dicono che siamo pronti”. Le Stelle velate spiccano poi in Chiaroscuro, dove Tahar Ben Jelloun dove sembra quasi concludere con toni elegiaci: “Dei nostri ricordi archiviati, imperlati di desideri, abbiamo fatto l’unico asilo. Linfa amara dell’albero malato, che trasportiamo nelle valige, l’esilio con mani nude e fredde ci avvolge sotto il cielo bianco dell’insonnia. Il paese tira la pelle sul nostro volto la solca di percorsi ingrati. Il nostro paese ci sta sulla fronte: ogni ruga è un fiume che irriga la nostra memoria”. Da conservare con cura.

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