Il primo insieme è quello naturale della famiglia dove gli elementi sono connessi tra loro da rapporti elettrici. Nel vuoto lasciato dal padre, gli Hieck sono un’equazione composita dove la madre, Katharine, deve bilanciare le forze opposte e divergenti dei figli. Susanne, animata da un afflato religioso, è concentrata sulla preghiera, a cui rimanda ogni considerazione, mentre “la vita rumoreggia, là fuori, grande e intensa”. Otto, il più prosaico ed effervescente, è solleticato da vaghe velleità artistiche, ma il più delle volte si concede di godersela con l’amico Karl. Siamo a Vienna, all’inizio del ventesimo secolo, e “la condizione del mondo” è tale da concedere ancora occasioni a sufficienza. Al contrario, Richard è ossessionato dalla matematica, non solo per via degli studi e poi della professione accademica, ma perché la considera “una limpida rete di luminose verità e bisognava procedere a tentoni, di nodo in nodo, sì, era una cosa del genere, un intreccio celeste complicato come il mondo, un intreccio che bisognava sciogliere per possedere, alla fine, la realtà”. Il secondo insieme che L’incognita (nella traduzione e con la cura di Luca Crescenzi) sottintende di vedere le figure in movimento per intero, con tutti i gesti, le relazioni e le connessioni e qui la scrittura cristallina ed equilibrata di Hermann Broch lascia intravedere una filigrana raffinata come il lavoro di un artigiano, ma che riesce a sopportare sia per “la realtà della terra concreta e visibile”, sia “il contrassegno accidentale di avvenimenti immani”. La dicotomia in sé prevede un nuovo livello dove la razionalità è in bilico sull’orlo del paradosso. Come scrive Hermann Broch nei Lineamenti del romanzo, “la vita intellettuale di Richard Hieck è dunque soltanto una possibilità fra le tante” e si comprende quando arriva a dire che “all’improvviso gli fu chiaro: l’imprevedibile è il peccato nel mondo. Tutto quanto è sciolto dal nesso casuale e dalle leggi, fosse anche un unico suono solitario vagante nello spazio, è peccato. Tutto ciò che è isolato è privo di senso e al tempo stesso è peccato”. La fede assoluta nella scienza è una delle infinite contraddizioni di termini che attraversano L’incognita finché Kapperbrunn, assistente universitario e poi collega di Richard Hieck non spiega che “la matematica è una sorta di impresa disperata dello spirito umano... Di per sé non ce ne sarebbe alcun bisogno, ma è una specie di isola del decoro, e per questo mi piace”. L’ammissione, considerevole in sé, apre un nuovo campo, ed è qui che “c’è un errore o c’è un miracolo”. In apparenza, Richard Hieck dissimula le emozioni dell’incontro con una ricercatrice (o due, ma siamo in un’area in cui le somme non tornano mai), sostenendo che “quel sapere era l’amore e che anche l’amore non è altro che sapere”. Sarà vero, ma è proprio dove L’incognita si manifesta con tutta la sua forza, incrinando la solidità della conoscenza intellettuale che, come precisa Hermann Broch, “è in primo luogo razionale e scientifica”. Lo scontro con la realtà, nello specifico nei turbamenti affettivi di Richar Hieck, viene celebrato da un passaggio lirico nella stesura e significativo nel procedere a comprendere tutta la complessità che L’incognita rappresenta e sviluppa: “Il fondamento ultimo della matematica si trova al di fuori della matematica, eppure, anche al suo interno, la divina finalità dell’essere si trova al di fuori dell’essere, e il fine ultimo dell’amore si trova al di fuori dell’amore, ma è pur sempre amore, oh, sposa splendente, oh morte oscura, singolare confusione delle sfere”. Si spalancano così le porte del finale che riporta il destino di Richard Hieck e di ogni altro protagonista a terra, e a zero, perché la matematica è un’opinione, e così l’infinito, e pure l’amore, laddove L’incognita svela che “il mondo brucia dentro di noi, non fuori di noi”. Essenziale.
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