Kapuściński in viaggio tra i frammenti della storia sviluppa uno dei suoi libri più personali, un diario che documenta un periodo dal 1995 al 1989, anche se la cronologia non è ordinata secondo uno schema preciso e segue una trama molto particolare. Sono anni ricchi di trasformazioni e Kapuściński ammette che “è difficile scrivere in un mondo di cambiamenti tanto drastici e radicali. Tutto ti scivola da sotto i piedi, mutano i simboli, i segni si spostano, i punti di orientamento non hanno più un luogo fisso. Lo sguardo di chi scrive erra in paesaggi sempre nuovi e sconosciuti mentre la sua voce si perde nel rombo della precipitosa valanga della storia”. Annotazione dopo annotazione, Lapidarium diventa un tentativo di riportare il centro di gravità attorno al mestiere di scrivere che Kapuściński ha esercitato con uno stile inimitabile e una coerenza encomiabile che pervadono fino in fondo ogni passaggio. Il primo, che filtra fin dalle pagine iniziali di Lapidarium, riguarda proprio quella che chiama “la fatica maggiore: non lasciarsi invischiare nella quotidianità, non lasciarsi frastornare da chiacchiere e ciarpame. Soffocare in noi l’inutile curiosità per le cose marginali, sterili, di nessun conto. La curiosità deve essere selettiva, in funzione esclusiva della scrittura”. Gli argomenti e i luoghi sono tra i più disparati e Kapuściński racconta Berlino e Mosca, Dalí e Borges, il Ruanda e l’Iran, libri e film esercitando una cernita essenziale: “Occorre operare una scelta e decidere che cosa sia veramente importante e che cosa no. Bisogna scrivere il meno possibile, scegliere con cura, escludere, tagliare, ridurre, cestinare, conservare un’osservazione su cento. Non esistono regole per questo procedimento: gli unici criteri validi sono l’intuizione e la conoscenza”. Bisogna aggiungerne un terzo che è la necessità di “immedesimazione” che Kapuściński definisce così: “Ho bisogno di illudermi, sia pur fuggevolmente, che il mondo dove mi trovo in questo momento sia l’unico esistente. Mi capita anche di spingermi più in là dell’illusione: certe volte ho creduto che il mondo dove mi trovavo per me fosse ormai l’ultimo, e che da lì sarei andato direttamente in cielo”. La metodologia che si va scoprendo nelle pagine di Lapidarium non lascia spazio a dubbi di sorta. Kapuściński parte dalla lettura, nello specifico dalla poesia (“Ho bisogno della poesia come esercizio linguistico: non posso rinunciarvi. La poesia richiede una profonda concentrazione sulla lingua, il che traduce poi in una buona prosa. La prosa deve possedere una sua musica, e la poesia è ritmo. Ogni volta che comincio a scrivere, devo anzitutto trovare il ritmo giusto, che mi trasporterà come un fiume. Se non riesco a sentire il valore ritmico di una frase, la abbandono. Prima devo trovare il suo ritmo interno la frase, poi il frammento di testo, infine l’intero capitolo”) e dalla prosa (“La prosa è una forma di letteratura talmente trasparente che il lettore scopre subito i punti deboli, quelli dove l’autore si sente insicuro e non riesce a organizzare il materiale. La semplicità crea trasparenza: per questo è tanto difficile scrivere in modo semplice. Proibito usare trucchi, proibito imbrogliare”) per arrivare ad aprire la sua cassetta degli attrezzi e spiegare come prende forma la sua voce. Nella generosa panoplia di Lapidarium, spicca l’intenzione principale che spiega molto, se non tutto, del lavoro di Kapuściński, quando dice: “Scrivendo un libro, o raccogliendo il materiale per scriverlo, mi concentro soprattutto su quel che dice la gente. Di solito incontro i miei personaggi in modo del tutto casuale, ma sono sempre le loro affermazioni, il loro mondo, il loro modo di vedere che contano, non i miei. Io cerco di restare nell’ombra. Si tratta dei loro pensieri, delle loro visioni, delle loro riflessioni”. Dall’altra parte, perché non sia uno sforzo fine a se stesso, e tornando ancora alla lettura, si premura di ricordare che “scrivere fa parte del mondo della comunicazione. Il libro è un comunicato. Il processo di comunicazione si sposta secondo un moto lineare tra mittente e destinatario, che sono i due capi dello stesso filo. Se un libro di alto livello non trova un lettore di alto livello, resta sospeso per aria, manca l’obiettivo. Ricettività, attivismo, sforzo creativo devono risiedere in entrambi i capi di questo ponte”. Il collegamento dipende solo dal viaggio e lì Kapuściński confessa: “Di ogni strada mi piace pensare che si tratti una strada senza fine, che corre intorno al mondo”. Un passo alla volta, è la sua storia.
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