“Bastardo di Marsiglia, mezzosangue figlio della cultura spagnola e francese”, Jean-Claude Izzo è un appassionato anfitrione del Mediterraneo, visto con l’acuta percezione di un’odissea moderna, eppure in qualche modo primitiva e definitiva, dovuta alla certezza che “questo è essenziale, quando viaggiamo su queste rive: concederci quello che non potremo mai portarci via, che esiste nel solo istante in cui guardiamo, e che non fa parte dei ricordi ma del piacere di vivere”. La rete di Aglio, menta e basilico attinge in mari diversi: parte con la letteratura, dall’Edipo Re a Jim Harrison, attraverso una voracità insaziabile di storie, personaggi, lingue, atmosfere, perché “l’immaginario è una realtà, a volte più reale della stessa realtà” e si perde nel dedalo labirintico di Marsiglia, una città con la forma di avamposto lungo le coste trasformate in frontiera. La trasformazione del Mediterraneo è l’elemento che fonde e mescola le parti di Aglio, menta e basilico in una sorta di guida, molto scrupolosa a ricorsi storici e alle forme geografiche. Il tema ricorrente dell’esilio, della transizione, di quella che Izzo chiama “erranza” svela forme d’incontro e indica i riflessi su altre sponde che invece sono state allontanate, deturpate, consumate e, come ha ben compreso Jean-Claude Izzo “è qui che si gioca tutto. Fra il vecchio pensiero economico, separatista, segregazionista (della banca mondiale e dei capitali privati internazionali) e una nuova cultura, diversa, meticcia, in cui l’uomo rimanga padrone sia del suo tempo sia del suo spazio geografico e sociale”. Nel suo Mediterraneo è tutto meticcio, annodato e colorito: le letture, la musica, e così l’intreccio delle voci, come la trama dei ricordi e la composizione dei cibi. L’idea di “una porta che rimanga aperta, sempre” è celebrata proprio dalla cultura di Aglio, menta e basilico (e pomodori, e frittura, e pizza mangiata sugli scogli), con il vino che rappresenta il giusto lubrificante per “l’oltraggio”, che poi è un altro modo per ricordare che “la felicità non ti viene mai regalata, te la devi inventare”. Basta poco: nello sguardo minuzioso di Jean-Claude Izzo filtra il Mediterraneo delle felicità possibili che dipende molto dall’arte di arrangiarsi con “con quello che offre la giornata”, sapendo che tutto sommato “domani è domani, tutta un’altra storia”. Non è fatalismo rinnovato per l’occasione: è una ricerca dell’essenziale, nei sapori e negli incontri, negli spazi e nelle parole, rimuginando sull’intima natura di un luogo che presuppone comunque un’altra partenza, finché come diceva un altro cultore del Mediterraneo, Predrag Matvejević, “diventa meno importante da dove siamo partiti e più fin dove siamo giunti: quel che si è visto e come. Talvolta tutti i mari sembrano uno solo, specie quando la traversata è lunga; talvolta ognuno di essi è un altro mare”. Pur nella sua forma assemblata, Aglio, menta e basilico è proprio così: mette in primo piano “l’importanza di permettere alla realtà di trovare la sua logica” e in contemporanea cerca di fuggirgli, preferendo la contemplazione di un attimo, la ricchezza infinita di “ore e ore ad attendere quel momento, più magico di qualsiasi altro, in cui un cargo entrerà alla luce del sole al tramonto sul mare e vi scomparirà per una frazione di secondo. Il tempo di credere che tutto è possibile”. Persino ricordarsi di un bacio, solo perché sapeva di aglio: una contraddizione di termini che, grazie all’arguzia di Jean-Claude Izzo, da sola spiega l’intero ecosistema del Mediterraneo.
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