C’è molto rock’n’roll in questo libro di Caetano Veloso e non solo perché il cantautore brasiliano è sempre stato un grande appassionato di musica in generale, ma anche perché la sua vita ha incrociato spesso le contraddizioni del cosiddetto secolo americano. La Musica e rivoluzione nel mio Brasile, come recita il sottotitolo di Verità tropicale, si sviluppa proprio da lì o come dice lo stesso Caetano Veloso, “in poche parole, io stesso potrei affermare che non vivo ciò che mi interessa nella mia creazione a partire dalla prospettiva del secolo americano bensì dal suo possibile superamento. Soprattutto perché nel secolo americano c’è ancora spazio per insistere nel fare degli Stati Uniti d’America il mastino di un gruppo razziale e religioso”. Per fare un esempio curioso, divertente e nello stesso tempo anche pertinente, bisogna giusto sfogliare le prime pagine, quando Caetano Veloso, come tutti i ragazzi della sua età, scopre la golden age del rock’n’roll a partire dal garage, come è giusto, ma con un deciso distinguo: “Quanto a me non riesco a non trovare buffo l’uso dell’espressione garagem (da garage) per definire un rock’n’roll selvaggio, essenziale e antiborghese, visto che sono cresciuto senza automobile e tra persone che non solo non ce l’avevano, ma non potevano nemmeno sognarne di averne, un giorno, una. La semplice esistenza di un garage sarebbe stato per me uno status symbol”. Questo e i ritratti di Bob Dylan, dei Rolling Stones, di Elvis (“La figura di Elvis, il suo sound e la sua leggenda segnarono profondamente l’immaginario internazionale”) legano Caetano Veloso al rock’n’roll, ma poi ci sono il cinema, la poesia, le canzoni (“Cantare, va oltre il ricordo, va al di là dell’aver vissuto qualcosa un giorno, è più importante della vita, del sogno, è possedere il cuore di qualcosa”), Joao Gilberto e Gilberto Gil, Chico Buarque e Jorge Ben, la prigione (perché, magari ce lo siamo dimenticati, ma con i dittatori i cantautori finiscono in prigione, quando gli va bene) e la bossa nova. Quello che dovrebbe essere una specie di autobiografia, diventa il ritratto di una nazione, in una parola, il Brasile: “Dalla profonda oscurità del cuore solare dell’emisfero sud, dal crogiolo di razze che non necessariamente significa decadenza o utopia genetica, dalle nere (eppure vitali) viscere di un’industria dell’intrattenimento sempre più volta all’internazionalizzazione, dall’isola Brasile eternamente fluttuante, dal centro della nebulosa della lingua portoghese, arrivano queste parole che, pur nella loro semplicità, aspirano a essere testimonianza e ricerca sul senso delle relazioni tra gruppi umani, gli individui e le forme artistiche, ma anche delle realtà economiche e delle forze politiche: insomma sul gusto della vita alla fine del ventesimo secolo”. Non è necessario che vi piaccia la musica di Caetano Veloso, per scoprire Verità tropicale. Basta un po’ di curiosità per capire cosa succede dall’altra parte del mondo, dove, la musica (e il calcio, e il carnevale, e gli scrittori e molto altro) sono ancora una parte viva, integrante, creativa e innovativa della vita sociale e politica. Non a caso, Gilberto Gil è diventato a suo tempo ministro della cultura: comunque sia andata, è già un successo essere arrivato lì. Da queste parti invece, siamo ancora fermi ai vecchi burocrati per cui il rock’n’roll è la musica del demonio e l’I.V.A. sui dischi dicono di volerla diminuire ogni volta che l’aumentano.
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