Più che il memoir di una rock’n’roll band, per quanto atipica e insolita come sono stati i Go-Betweens, Grant & io è la storia di un articolato legame cresciuto, maturato e moltiplicatosi attorno alle canzoni che Robert Forster narra ripescando una vocazione per le parole fiorita molto presto, come ricorda nei tratti iniziali del suo racconto: “Quella consapevolezza arrivò a sette anni, mentre vedevo i giorni ruotare nel vento asciutto, settimana dopo settimana, e sperimentavo una vita tanto regolare quanto quella che non avrei voluto vivere”. La contraddizione che scaturisce dal ricordo infantile è tale solo in apparenza: “dentro e fuori i Go-Betweens” Robert Forster è meticoloso nel mettere l’accento sulle dinamiche dei rapporti, a partire, va da sé, dal connubio con Grant McLennan. Dal loro primo incontro (“Mentre nella stanza gli altri ragazzi si scrutavano nervosamente, Grant e io ci salutiamo come amici perduti da tempo, cosa che, in un modo che non capiremo mai, siamo”) in poi Robert Forster spiega senza reticenze, e pur elencando tutti i dettagli e gli aneddoti con un certo garbo e, nei confronti di Gran McLennan anche con qualcosa in più di un particolare riguardo, non nasconde nulla, centellina tutti i nomi, non perde mai di vista il delicato e difficile equilibrio delle persone dentro le forme rigide e nello stesso tempo fluttuanti della rock’n’roll band. Grant & io si legge senza sosta lungo le montagne russe che hanno distinto l’esistenza dei Go-Betweens e a differenza di molti altri suoi simili non nasconde secondi fini, analisi posticce o scopi occulti e non ha niente da recriminare o da rivelare. La qualità della scrittura, costruita con un tono molto cordiale e colloquiale, con una sua eleganza e una sua praticità, senza particolari fronzoli o velleità, anche se non mancano ampi riferimenti letterari, da Hemingway a Proust, da Fitzgerald a Isherwood, porta Grant & io a scorrere come un romanzo. Tanto che Robert Forster sembra il personaggio di Martin Amis in Territori londinesi dove diceva: “Mi sento febbricitante, ma in estasi. Mi sento pieno di energia. Forse sono un sacerdote zelante, più che un romanziere, che butta giù le minute della vita reale. Tecnicamente sono anche, almeno mi pare, un antefatto, un accessorio del fatto, per per il momento al diavolo tutto quanto. Oggi mi sono svegliato pensando: se Londra è la tela di un ragno, io dove mi ci incastro? Forse sono la mosca. Sono la mosca”. L’immagine si adatta bene ai Go-Betweens, impigliati nelle maglie di una città che vive di musica ed è ricorrente perché “Londra può farti delle cose strane”: restare invischiati in un tour senza fine, vivere in uno squat, andare a caccia di un contratto discografico e, tutto sommato, vagare affamati e confusi con una vena di grazia e malinconia che Grant & io riesce a cogliere e trasmettere, e questo è forse il pregio migliore. È la stessa sfumatura che distingue la coabitazione del songwriting di Robert Forster con quello di Grant McLennan, le cui canzoni, come ha scritto Jonathan Lethem, “sono caratterizzate da una complessità e una consapevolezza che vorrei definire letterarie, e infatti le definisco così. Sono strane, bellissime ed emozionanti”. Pare sensata quindi la conclusione con Too Much Of One Thing tratta da Bright Yellow Bright Orange, e siamo già nel secondo (e finale) atto dei Go-Betweens: “Niente nella mia vita è numerato, nella vita niente è pianificato, pensi di avere uno scopo quando ciò che hai è una band, un filo sottile come quello di un ragno, sopra cui ballo, di questi tempi nulla è costante, torno a casa per avere un’occasione”. Bastava una canzone per dire tutto, ed è uno dei loro versi più sinceri, dove, non a caso, la prima e la seconda persona singolare non si distinguono.
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