C’è un’estrema lucidità nella prospettiva di Barbara Stiegler, che cerca di isolare ogni singolo passaggio della pandemia, riuscendo a chiarire i rapporti di forza che hanno incrinato le strutture democratiche. L’analisi è impietosa, ma precisa, e parte dalle origini e dalle cause, da ciò che c’era prima, e in gran parte parte è rimasto inalterato: quello che “il virus fondamentalmente mette a nudo è la contraddizione tra gli effetti deleteri sulla nostra salute di quello che viene erroneamente chiamato sviluppo economico e l’attuale sottosviluppo di quasi tutti i nostri sistemi sanitari, compresi quelli dei paesi più ricchi del pianeta”. Nella parte iniziale della sua riflessione, Barbara Stiegler coglie l’opportunità per ricordarci come “l’industrializzazione degli allevamenti, unita all’accelerazione del commercio su scala mondiale e al deterioramento della salute delle popolazioni nei paesi industrializzati produce così tutte le condizioni perché lo stesso tipo di epidemia si ripeta regolarmente”. Le condizioni che hanno portato alla pandemia sono le stesse con cui è stata gestita e con una progressione ineluttabile ci hanno introdotto in “un mondo in cui non c’era tempo per imbarazzarsi con la democrazia”. Barbara Stiegler non discute, ragionevolmente, i singoli provvedimenti, le urgenze, i processi sanitari e in genere l’emergenza in sé, ma fa notare che ben presto “invece di una comunità di cittadini, eravamo tornati allo stadio pastorale del gregge”. Mentre i governi (qui, nello specifico, si parla della Francia, ma vale un po’ per tutti i paesi), per inaugurare “la svolta verso un mondo di crisi permanente”, si affidavano a unità speciali di consulenti e consiglieri, estranei ai processi elettivi, prendeva piede “un’infantilizzazione generale di tutti gli atti della vita, pubblici e privati”. Le riduzioni e le semplificazioni, e l’overdose di informazioni in generale, hanno generato un processo per cui “la sfiducia si è instaurata a tutti i livelli come modalità di relazione principale tra i governanti e i governati, sfiducia instaurata dai governanti stessi, eppure così pronti ad imputarla ai cittadini”. A questo punto, la ricostruzione di Barbara Stiegler non si basa su ipotesi o tesi precostruite, ma semplicemente su un’osservazione limpida: “Così, fin dalle prime ore, una spettacolare inversione di responsabilità ha preso forma. Mentre i cittadini erano le vittime di una politica che aveva disarmato il sistema sanitario, il governo ha rovesciato l’accusa imputandola ai cittadini stessi, cioè alle vittime non consenzienti di queste decisioni, declinando un’agenda che non era mai stata dichiarata come tale nei programmi elettorali”. È un dato storico, ormai, ma il pamphlet di Barbara Stiegler, per quanto dichiaratamente schierato, ha il pregio infinito di evitare anche la minima teoria cospirativa, specificando fin troppo bene che “l’errore qui sarebbe quello di cercare un piano o una strategia. Se si volesse ricostituire un complotto potente, si presterebbe molta razionalità a un potere che, nelle circostanze, ne era singolarmente privo. Invece che nell’intelligenza tattica, dovremmo piuttosto cercare dalle parti della paura, che è spesso il motivo principale delle grandi sconfitte. Questo governo che, a partire da questa data, si metterà a governare con la paura, è stato esso stesso dall’inizio alla fine, governato dalla paura. Per il panico del virus, naturalmente, ma anche per quello della rivolta sociale”. Questo è ancora più visibile, oggi, quando “la dolorosa esperienza della cura e dell’educazione spogliate della loro natura collettiva e degradate dal capitalismo digitale allo status di prodotti di consumo” appaiono come i frutti avvelenati della pandemia, mentre sono le conseguenze dell’indulgenza, dell’indifferenza, per non dire della sottomissione, alle regole del mercato il cui interesse per la democrazia, come è noto, è pur sempre relativo. Un libro scomodo, ma efficace.
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