Miwako Sumida nasconde un segreto, forse più di uno, e non è l’unica. Come se avesse delle doti particolari in ogni incontro scatena qualcosa di indecifrabile, nonostante la gentilezza, la discrezione e l’ospitalità implicite nelle tradizioni culturali giapponesi. Dentro questa cornice formale però si annidano spaccature e conflitti, sotterfugi e rivelazioni, fughe ed errori. Il fatto è che Mikado Sumida ha paura dell’amore, ed è più che giustificata, come si scoprirà poi. La sua personalità è nascosta da una coltre di timidezza, scontrosità e da ragioni tutte sue che diventano una frontiera invalicabile per Ryusei Yanagi, un coetaneo che si innamora e la segue a “piccoli passi” nella speranza di raggiungerla. Si trovano in una libreria dove lei consuma romanzi d’amore, ma la loro storia rimane quasi a livello platonico, e si risolve più in un attrito costante che in un abbraccio. Sono poco più che adolescenti cresciuti soli e troppo in fretta, che la vita scolastica non riesce ad afferrare e che nella famiglia non trovano spazio: nel grande disordine della vita e delle cose, i “bambini trasparenti” diventano esseri randagi come anime erranti, che vagano sullo sfondo di un Giappone leggiadro ed evanescente in cerca di accettazione e di perdono. Non a caso, un ruolo specifico tocca anche a Tama, un gatto girovago che viene adottato dall’elaborato triangolo composto da Miwako, Ryusei e Fumio o Fumi Yanagi. Così le persone reali (e non) si incontrano, ma è tutto double face: un continuo riversarsi di immagini e tracce, una sopra l’altra, che si manifestano in modi e atmosfere molto distanti. Le luci al neon e la pioggia, un ponte di corda verso una valle e un albero disintegrato da un fulmine, una colazione con “riso al vapore con pesce ayu alla griglia, zuppa di miso, omelette e sottaceti a fette” e un budino di latte, Tokyo in autunno e “un campo di fragole in un tiepido giorno d’estate”, credenze popolari e lettere nascoste, pagine di diario inventate per una rivista letteraria e dolorose confessioni a cuore aperto e a occhi chiusi, appuntamenti al nightclub e pellegrinaggi ai santuari si specchiano nella tormentata caccia all’identità dei protagonisti (a cui va aggiunta anche Chie Ohno). Nel loro battagliare, gli rimane soltanto di ascoltare Henry Wotton quando diceva a Dorian Gray che “la giovinezza è l'unica cosa che vale la pena di avere”, ma Il mondo perfetto di Miwako Sumida la consuma in fretta, spesso in silenzio, come un pasto riscaldato alla fine di un lungo cammino. Avanza giusto quello, e i resti di amicizie fragili e disperate. Le affinità con l’esordio di Rainbirds sono parecchie: porte che si aprono e si chiudono, il contrasto tra l’asettica realtà urbana e quella bucolica del villaggio, gente che scompare e riappare all’improvviso, voci imprigionate nelle conversazioni telefoniche, ma Il mondo perfetto di Miwako Sumida è un origami dei sentimenti e a ogni piega la trama si riflette su se stessa: l’inizio si ritrova alla fine, (di congiunzioni e separazioni è fatto il romanzo) che Clarissa Goenawan racconta con pazienza e con una delicatezza acuta, abrasiva, tagliente, frutto di un grande equilibrio che riesce a contenere simbolismi spettacolari, ombre e fantasmi, prodotti dei sogni e dei ricordi, della morte e di un amore traballante inseguito a testa bassa. Un romanzo singolare, che bisogna leggere una pagina alla volta, tanto è denso, ma che è davvero toccante.
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