La Festa di nozze di Gino e Ninon è “un’occasione straordinaria per ritessere una fitta rete di relazioni e di biografie” e si celebra a Gorino sul delta del Po perché “in questa valle dove l’orizzonte non nasconde niente, aspettano i momenti in cui la vita conta qualcosa. Quando poi arrivano, questi momenti, passano in fretta. Dopo, niente è più uguale a prima e si mettono un’altra volta ad aspettare. Spesso qui il tempo è come il tempo degli atleti che passano mesi e anni in attesa di una prova che dura meno di un minuto”. Gino è un topo di fiume, Ninon si porta dietro una famiglia (la madre, Zdena, e il padre, Jean Ferrero) dispersa per l’Europa e, insieme, si ritrovano in un luogo ideale, dove “la gente cerca il bello perché gli ricorda vagamente il bene. Questo è l’unico motivo per cui esiste l’estetica. Ci ricorda qualcosa che non c’è più”. La loro discesa lungo il solco e attraverso le valli, si sovrappone all’intenso lavorio di John Berger, un processo singolare che l’ha sorpreso, prima di tutti: “Quando ci si spinge tanto lontani da sé e si osa andare così a ridosso della storia di un altro essere umano, può essere difficile trovare una strada per tornare indietro. Mentre scrivevo Festa di nozze, per esempio, mi sono chiesto più volte se ero in grado di proseguire. Mi sono accorto che potevo e dovevo. Che cos’ho riportato indietro con me in quel caso? È troppo presto per dirlo. Speranza e dignità certo, ma è pericoloso semplificare”. Viaggiando verso la Festa di nozze ci si inoltra in “un vortice di emozioni”, come ha scritto Michael Ondaatje, che John Berger ha saputo tradurre in un caos di parole da leggere in filigrana. Ogni passaggio ha un senso specifico, anche se, in apparenza, non ha connessioni dirette con quello che lo segue o che lo precede, ma persino i nomi celano piccoli e grandi motivi, a partire da quelli di Gino e Ninon, che si incastrano uno nell’altro. Nelle pieghe del loro amore si nasconde un’infida trappola che gli invitati alla Festa di nozze, lettori compresi, conoscono e giustamente temono, ma, quasi assecondando le generose intuizioni di John Berger, la collocano in una dimensione dove non può fare danni. Almeno per il momento: lo spirito del convivio, e di conseguenza del romanzo in sé, sembra essere una concreta meraviglia che si evolve dalla consapevolezza che “viviamo tutti in mezzo a cose incredibili” e con un po’ di coraggio “vivremo questi anni con un pizzico di follia, con furbizia e filosofia”. Potrebbero bastare: proprio come il fiume che costeggia dall’inizio alla fine, il racconto di Festa di nozze trasporta voci sparse e le riunisce in un’unica corrente che scorre disordinata e impetuosa nell’imporre all’attenzione una storia d’amore che nasconde una dolorosa piega del destino. A prima vista, la logica è casuale perché “si raccoglie una cosa di qua, una di là, ci si sveglia con un’idea, d’improvviso ci viene in mente che è tanto che non proviamo più una cosa, si va a casa e si mette la spesa in frigorifero. Ogni giorno si va avanti così”. A maggior ragione, dato che la precaria condizione di Ninon (e Gino) non consente alcuna certezza, ma John Berger trova un’armonia, e forse anche un equilibrio, nella consapevolezza che “possiamo farcela, senza neanche menzionare la felicità”. Non vale soltanto per i protagonisti di Festa di nozze.
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