Edward Carpenter è stato un osservatore meticoloso, capace di spulciare nella vita della gente comune (il giro dei prezzi al mercato, per esempio) e nelle abitudini e nei gusti (il rapporto con il cibo, molto importante e dettagliato) per trarne spunti volti a una filosofia Per una vita più semplice. Le analisi di Carpenter rispecchiano il pensiero di Thoreau, ma in una chiave più economica e politica. Una forma di pensiero che tocca gli aspetti rurali e cittadini, la loro composizione, i nessi e le differenze. Le sue parole vanno inquadrate nel periodo storico, alla fine del diciannovesimo secolo, ma la costante ricerca sorretta dalla convinzione che “da qualche parte esiste un principio vitale invisibile, il seme all’interno del seme”, è senza dubbio ancora attuale. La lettura di Carpenter è schierata senza esitazioni ed è volta a cercare “uno standard di vita migliore di quello dominato dalla frenesia del mercato”. Nelle sue riflessioni mette in discussione la proprietà privata (“Affinché esista la vera proprietà deve esserci un soggetto, una padronanza, un esercizio di volontà e potere”), l’alimentazione, il senso del lavoro e del commercio e torna in continuazione a ribadire che “l’istruzione non trasforma l’uomo in una creatura dai desideri insaziabili, preda di qualsiasi sete o capriccio, bensì gli permette di relazionarsi meglio con il mondo circostante. Gli consente di trarre piacere e nutrimento da un’infinità di cose comuni dalle quali, al contrario, chi è schiavo della società non riesce a trarre né gioia né nutrimento”. Carpenter si infervora nel sottolineare l’unicità della persona dato che “l’uomo crea la società con le sue leggi e le sue istituzioni, e allo stesso modo può attuarne una riforma. Potete star certi che da qualche parte, dentro di voi, si annida il segreto di tale capacità”. Il suo afflato non è soltanto ideologico, anche se la matrice è chiara e precisa, perché si premura di aggiungere che “prima di poter raggiungere un qualsiasi livello di miglioramento collettivo, è necessario che a cambiare siano gli individui”. Questo è un passaggio indispensabile nell’inoltrarsi nella strada Per un vita più semplice, dove la ricca voce di Carpenter sa passare dalla teoria economica e politica, a cui si dedica con passione, all’esperienza diretta, dove “avere a disposizione un orto anche piccolo fa davvero la differenza”. È proprio l’alternarsi delle diverse prospettive a caratterizzare l’ampiezza delle argomentazioni di Carpenter. Se da una parte dice che “chissà, forse esiste un qualche istinto, con un suo scopo difficile da immaginare, che ci spinge a rendere più artificiali le nostre vite ai livelli cui siamo giunti oggi”, dall’altra sembra rispondere con un senso molto più pratico: “Quando sto lavorando per usare ciò che produco, e coltivo patate pensandole in quanto cibo che qualcuno mangerà, e ragiono su come coltivarle meglio per quest’unico scopo, in quel momento ho davanti a me un bene certo che nessuno può portarmi via”. Nel prodigarsi Per una vita più semplice il rapporto con la terra si fa via via più diretto e profondo, finché Carpenter non rende esplicito il suo manifesto cresciuto nelle meditazioni su Walden: “Dichiaro che preferirei prendere pala e piccone e scavare per un anno di fila, ma all’aria aperta e respirando liberamente, piuttosto che vivere in quella giungla di doveri idioti e di rispettabilità affettata che il denaro alimenta in continuazione”. Per coltivare una scelta, “bisogna essere coraggiosi”, perché “per farla breve, ci troviamo in un’epoca di transizione. Nessun mortale, per quanto influente, potrebbe far durare a lungo una società basata sull’usura, un’usura universale e illimitata”. Magari è anche vero, come dice Carpenter, che “i libri parlano soltanto delle ombre e dei fantasmi della realtà”, ma in questo c’è molta verità.
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