Quello di Hervé Muller è stato uno dei primi tentativi di esplorare la figura di Jim Morrison cercando di sottolinearne la complessità e provando a evitare i cliché legati alle movenze e agli aspetti più epidermici della vita turbolenta in America e della morte a Parigi. È ammirevole, se non altro per la tempestività, l’intenzione di restituire a Jim Morrison un contorno un po’ più acuto, ripercorrendo le densissime influenze letterarie, a partire, giusto per esempio, dal connubio con Rimbaud, come poi avrebbe sviluppato più a fondo Wallace Fowlie. Molto interessante anche il parallelo a distanza tra i Velvet Underground a New York e i Doors a Los Angeles, che approfondisce il legame con le rispettive città e i distinti ruoli di Lou Reed e Jim Morrison. Hervé Muller dedica (giustamente) tutto lo spazio necessario anche agli altri membri, John Densmore, Ray Manzarek e Robby Krieger, ma l’immagine dei Doors coincide con quella di Jim Morrison e, album dopo album e concerto dopo concerto, diventa un’ombra sempre più pesante. Le dinamiche di una rock’n’roll band possono diventare opprimenti, in particolare se uno si sente un poeta o uno scrittore tout court. È un attrito che, insieme alle sue pesanti condizioni personali, ha contribuito non poco a spingere Jim Morrison verso l’Europa. Il “cantante dei Doors” non voleva restare imprigionato nell’eclatante personaggio “politico erotico” che andava in scena ogni sera sul palco e ambiva a un altro riconoscimento che non lo confinasse a interpretare all’infinito l’identità fallace della rock’n’roll star dissoluta e disperata. Il proposito di sviluppare qualcosa di più e di diverso dai Doors, puntando verso opere poetiche e visive di un’altra dimensione era impellente, come annunciava Jim Morrison: “Se la mia poesia avesse un’ambizione, sarebbe quella di liberare le persone dai limiti del loro modo di vedere e sentire”. Il condizionale era già un sintomo preoccupante: Hervé Muller riesce a collocare in modo adeguato quel passaggio tanto desiderato quanto incompiuto, a partire dalla suite The Celebration of the Lizard, come poi l’ha raccontata Lewis Shiner. L’occasione è propizia anche per riconoscere la natura stessa della sua espressione che Muller descrive così: “Nulla di ciò che Morrison ha scritto o cantato ha mai raggiunto una forma definitiva, statica. Le sue parole avevano vita propria, inseparabile da quella del loro autore: seguivano un ritmo incostante e frenetico, subendo la stessa ricerca nomade e incessante”. Non c’è molto da dire degli “strani giorni a Parigi”, che videro Hervé Muller testimone diretto: tra la ricerca dell’anonimato, la solitudine, le illusioni sul futuro e lo scorrere senza fine dell’alcol, il tramonto di Jim Morrison è visto come un film in bianco e nero accelerato e palpitante. Sono la cronaca di un collasso annunciato ed è inevitabile notare il crollo, un momento dopo l’altro, a Parigi che doveva essere un rifugio, o almeno la tappa di un nuovo inizio, e invece diventa un cul de sac, una trappola. L’elaborazione del finale resta incompleta, anche se in parte ha il pregio di assecondare la documentazione ufficiale e di evitare dietrologie pur notando che “forse il mito di Morrison non avrebbe acquisito una tale importanza se vari fattori non avessero contribuito ad avvolgere nel mistero le circostanze della sua morte”. I fantasmi nei vicoli parigini, il ruolo confuso di Pamela Courson, la rapidità delle esequie lasciano intatti i dubbi. È una cronaca che risale al 1973, in pratica in tempo reale, e come è logico, molti dettagli sono ancora sfuocati, e verranno ripercorsi in seguito da analisi più ampie e puntigliose. Inquadrandoli nel momento storico, gli Ultimi giorni a Parigi sono appunti validissimi che ripercorrono la storia di Jim Morrison, anche se poi nello specifico delle ore fatali non aggiungono molto di più. Definire l’uomo e l’artista è comunque complicato, ancora di più nel caso di Jim Morrison che conteneva grumi di una personalità caotica e irrisolta che forse seguiva la massima di William Blake: “Il folle che persiste nella sua follia diventa saggio”. Non ne ha avuto il tempo, la fine della notte è arrivata troppo presto.