Nelle lezioni americane di Borges, il ruolo delle parole e del linguaggio è al centro di tutte le sei conferenze di Borges che è un insegnante molto acuto e nello stesso tempo capace di fondere un flusso erudito e ricchissimo con un tono molto chiaro, così da ricordarsi di essere stato (e di essere ancora) a sua volta un allievo, di essere rimasto un ricercatore, conscio che “l’importante non è che ci siano pochi modelli, bensì che tali modelli siano suscettibili di variazioni quasi infinite”. Tra i numerosi punti di riferimento richiamati in L’invenzione della poesia va ricordato Macedonio Fernández, per quella particolare motivazione, sempre valida, che diceva: “Scrivo solo perché scrivere mi aiuta a pensare”. L’invenzione della poesia mostra proprio come Borges parta dall’altra riva del fiume (“Vedo me stesso essenzialmente come un lettore. Mi è accaduto di avventurarmi a scrivere, ma ritengo che quello che ho letto sia molto più importante di quello che ho scritto. Si legge quello che piace leggere, ma non si scrive quello che si vorrebbe scrivere, bensì quello che si è capaci di scrivere”) per arrivare a una destinazione che ancora rimane indefinita, per sua stessa ammissione: “Che cosa significa per me essere uno scrittore? Semplicemente essere fedele alla mia immaginazione. Quando scrivo qualcosa, ci penso non in termini di fedeltà ai fatti (il fatto è solo una rete di circostanze e di casualità), ma in termini di fedeltà a qualcosa di più profondo. Quando scrivo un racconto, lo faccio perché in qualche modo ci credo, non come chi crede semplicemente nella storia, ma come chi crede in un sogno o in un’idea”. Borges vede la scrittura come un momento comprensivo e indissolubile dalla lettura da cui non si discosta mai. Sente i limiti della scrittura e tutte le gioie della lettura (“Oggi penso che la felicità di un lettore sia superiore a quella di uno scrittore, perché il lettore non ha problemi, non ha preoccupazioni: è lì pronto per la felicità. E la felicità, quando si è lettori, è frequente”), si considera un “uomo invisibile”, per sua stessa ammissione, proprio in equilibrio tra scrittura e lettura, consapevole che “l’arte è un miracolo, forse un miracolo minimale, ma tuttavia frequente”. Quello di Borges non è understatement, ma piuttosto un modo di avvicinarsi con mille cautele, come un congiurato geloso dei suoi segreti, a “una cosa grande”: sciolta la riserva e consolidata l’unione e la distanza tra lettura e scrittura, L’invenzione della poesia si dedica alla convivenza tra verso e racconto, tra epica ed etica, tra la “la verità sui fatti” e “la verità dei sogni”, tra le metafore di da Shakespeare e quelle di Robert Frost. All’indefinibile (e ancora indispensabile), dimensione della poesia, con tutti i suoi simbolismi e le sue allusioni, fa seguito la presenza inamovibile di quelle trame che “sono state narrate di continuo, senza tregua; sono state messe in musica; sono state dipinte. La gente le ha raccontate più volte, ma le storie sono sempre lì, illimitate”. Lo stupore di Borges è contagioso, eppure resta un osservatore molto attento capace di tenere conto della catena di montaggio dei miti americani con residenza in particolare a Hollywood e comunque di ricordare che “c’è qualcosa nel racconto, nella storia, che continuerà. Non credo che gli uomini si stancheranno di raccontare o di ascoltare storie. E, se insieme al piacere che ci venga narrata una storia si aggiunge il piacere della nobiltà del verso, allora sarà accaduta una cosa grande”. Borges è fiducioso anche nel delineare un futuro per le poesie e le storie, per la scrittura e la lettura. Pur convinto che “il solo modo di trovare una cosa sia quello di non cercarla”, conclude le sue dissertazioni con questo augurio: “Se siamo storicamente consapevoli, penso che dovremmo anche immaginare che arriverà un tempo in cui gli uomini non saranno più così preoccupati della storia come lo siamo noi. Verrà un tempo in cui importerà loro poco delle divagazioni e delle circostanze della bellezza; a quegli uomini interesserà la bellezza in se stessa. Forse per costoro non saranno importanti neppure i nomi e le biografie dei poeti”. Insostituibile.
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