Il 25 agosto 1939 Gran Bretagna, Polonia e Francia siglano un’alleanza per far fronte a un eventuale attacco militare nazista. Il 3 settembre, due giorni dopo che Hitler ha ordinato l’invasione della Polonia, arrivano le dichiarazioni di guerra di Gran Bretagna e Francia. La settimana di passione che portò alla seconda guerra mondiale fu molto simile a un complicato gioco di ruolo. Di volta in volta, aggressori e aggrediti, alleati e nemici, pacifisti e interventisti si trovarono sul lato sbagliato della partita e dovettero interpretare posizioni inedite e traballanti che non gli appartenevano. Lo stesso Hitler, il principale responsabile dello scoppio delle ostilità, la cui storiografia ufficiale ha sempre dipinto come un feroce e monolitico condottiero viene rivisto in una cornice piena di titubanze, indecisioni, debolezze e frustrazioni. La disperazione più grande appartiene però alla Polonia e al suo popolo che, assistendo al balletto delle diplomazie europee, capisce di essere finita in un confronto in cui il suo destino è relativo a ben altre ambizioni. È anche per questo che la sua protezione non venne affidata all’Unione Sovietica, così come ragionò con un’eccentrica metafora lord Halifax, il ministro degli esteri inglese: “Non possiamo pretendere che un coniglio intelligente accetti la protezione di un animale dieci volte più grande di lui, con le abitudini di un boa costrictor”. Anche la posizione italiana sopravvive alla sua stessa ambiguità: alleata di Hitler, vorrebbe però tornare al centro dell’attenzione proponendo, in un ultimo e tardivo tentativo di evitare la guerra, una conferenza di pace. Anche perché, tra altri inconfessabili motivi, “sull’orlo del precipizio” l’Italia non aveva (e nemmeno avrà alla sua entrata in guerra, un anno dopo) le risorse per affrontare un conflitto di proporzioni mondiali. In una serie di goffe prove d’orchestra volte a evitare la ripetizione della storia dell’agosto 1914, quando gli automatismi delle alleanze e delle mobilitazioni militari portarono all’inevitabilità della guerra, le diplomazie e i governi in carica innescarono una spirale di angoscia che, partendo dagli uffici delle ambasciate appestò tutta l’Europa. La guerra era già nell’aria da tempo e l’attesa era snervante, come annotava sul suo diario un testimone polacco, il medico Zygmunt Klukowski: “Stiamo vivendo una tensione insolita. So che la guerra scoppierà presto. La gente è angosciata, e si capisce che tutti vogliono che scoppi subito”. Si capisce perché, in più di un caso, le dichiarazioni di guerra vennero colte persino con sollievo: alla nuova “guerra civile europea” si era arrivati ancora una volta per inerzia, per reciproca diffidenza, per incomprensione, per una visione inadeguata, come quella di Hitler che pensava di ridurre il confronto con la Polonia a un conflitto locale e che invece innescò l’apocalisse che portò alla fine del suo delirante sogno e a una marea di macerie e di morti in tutto il mondo. Si capisce il suo sconforto nel momento in cui Gran Bretagna e Francia decisero, restando fedeli all’alleanza, di intervenire a fianco della Polonia. E si capisce anche quello che il re inglese, Giorgio VI, scrisse in questi giorni: “Quelli di noi che hanno vissuto la grande guerra non ne hanno mai desiderata un’altra”. È una delle tanti voci che Richard Overy, con un minuzioso lavoro di ricerca tra archivi, diari, testimonianze e documenti ufficiali, inserisce in una rappresentazione corale di quella drammatica settimana sul finire dell’estate del 1939, affiancandola a un’analisi efficace, per quanto sintetica, delle condizioni geopolitiche europee. Scrive Richard Overy che “i grandi eventi generano da una dinamica e una storia interiore proprie” e la sua ricostruzione è precisa e puntuale, affascinante come un romanzo. Non a caso il prologo è affidato a un’illuminante citazione di H. G. Wells, a suo modo profetico, fin troppo.
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