giovedì 14 marzo 2019

Carys Davies

Il miraggio del West, alimentato da una spregiudicata campagna di marketing ante litteram, ha suggerito un’infinità di leggende e creato un’intera epica. La colonizzazione della frontiera, spostata di volta in volta più in là, era e resta una componente irrinunciabile dell’espansione economica e geografica degli Stati Uniti e ne ha permeato la cultura, a partire dai primissimi livelli dell’istruzione. Lo notava in modo molto dettagliato Jonathan Raban in Bad Land: “L’America dei testi scolastici era un mondo di avventure solitarie ma edificanti, di poveri pastorelli che diventano presidenti, di eroi puri e leali, una terra dove una stella ammiccava in permanenza sull’orizzonte del West, e dove la miseria e le malattie mettevano semplicemente alla prova la tempra americana”. La realtà, a partire dalla sopraffazione dei nativi, era ben più prosaica e crudele ed è proprio nella frattura con quell’immaginario posticcio e ingannevole che Cary Davies si tuffa a capofitto, rileggendo il mito del West con una peculiare sfumatura narrativa, prodiga di valenze metaforiche. Il suo protagonista, John Cyrus (Cy) Bellman, “un trentacinquenne alto e ben piazzato con i capelli rossi, le mani e i piedi grandi e la folta barba color ruggine” che “si guadagnava da vivere allevando muli” non parte infatti in cerca di terreni fertili o filoni minerari, ma per un’imprecisata attrazione verso i dinosauri, o meglio, di ciò che ne rimane. La spinta viene dalla lettura di un articolo su una gazzetta, uno degli strumenti principali della campagna promozionale del West e lo stupore di Bellman è incontrollabile: “Non c’erano parole per il fremito suscitato dalla sensazione che quegli animali giganteschi fossero importanti, c’era solo un formicolio che rasentava la nausea e la consapevolezza che per lui, ormai, era impossibile restare dov’era”. En passant, la caccia ai resti preistorici contiene una primordiale idea di fama e di successo a cui Bellman ambisce, seguendo le tracce della spedizione di Lewis e Clark. La fiducia nella scoperta di “una creatura completamente sconosciuta” e il fascino dell’avventura appaiono, almeno in un primo momento, incrollabili: il viaggio verso il West è un’immersione incondizionata e totale nella wilderness americana che è una bellezza straordinaria, ma insidiosa. Bellman, che contava di cavarsela da solo, comincia ad affrontare imprevisti e necessità crescenti, che richiedono abilità a lui sconosciute. È così che si affida prima alle informazioni di un infido mercante, Devereux, e poi, attraverso i suoi consigli, trova una guida in un giovane nativo dal nome enigmatico, Donna Vecchia Vista Da Lontano, che lo asseconda e lo protegge passando da un territorio all’altro. La ricerca paleontologica si rivelerà un azzardo e il susseguirsi delle difficoltà e delle incognite farà emergere il carattere utopico del viaggio.  Anche perché per seguire una destinazione ignota Bellman ha lasciato sole una figlia e una sorella. Non le ha dimenticate e, in particolare, alla figlia, scrive una lunga teoria di lettere che, il più delle volte, faticano a trovare l’indirizzo e vengono perse nelle vastità dell’America dai vari messaggeri incaricati di recapitarle. Nel frattempo, l’assenza dell’uomo non è passata inosservata e attorno alle due donne cresce un’attenzione non sempre ben riposta. Eppure, un anno dopo la partenza, Bellman è ancora entusiasta e, dopo l’ennesimo guado, si ritrova meravigliato dalla “bellezza del paesaggio: il nastro grigio del fiume, gli alberi scuri, in lontananza quel luminoso panno steso che era la prateria, ondulata e soffice, la seta azzurro livido nel cielo”. Tappa dopo tappa, le visioni idilliache vengono frantumate dal gelo, dalla fame, dalla stanchezza, dal disorientamento e, più di tutto, dal cedimento strutturale dell’illusione. D’altra parte, a casa, la placida routine di Julie e Bess viene turbata dall’invadenza di Elmer Jackson, un ambiguo vicino, non senza un sorprendente finale. Cary Davies usa un tono garbato e leggero, nella migliore accezione del termine, per delineare i contorni drammatici di un abbaglio macroscopico all’interno di un romanzo brillante che, tra tutte le qualità, possiede anche il raro pregio di far convivere la sua natura breve e coincisa con l’attenzione e l’equilibrio indispensabili per guardare verso e dentro il (vero) West.

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