lunedì 4 marzo 2019

Peter Carey

Michael Boone, meglio noto come Butcher, è stato un pittore che ha già vissuto il suo momento di gloria: colto, visionario, profondo nel distinguere la luce dal colore, la tela dal dipinto, il dettaglio dalla prospettiva, aveva trovato gallerie, clienti e quotazioni. Solo che conosceva benissimo la fragilità di quella condizione, non solo perché “il mercato è una bestia nervosa che facilmente si fa prendere dal panico”, ma per la natura stessa della sua vocazione, riconosciuta così: “Ecco il guaio degli artisti. Siamo come dei piccoli bottegai, abituati a comandare a casa nostra. Se non ti garba come lo faccio, fuori dal mio negozio, scendi dal mio taxi, esci dalla mia vita”. Una volta trascinato nelle correnti di un divorzio senza pietà, si ritrova sperduto, senza nemmeno un soldo per pagarsi i pennelli. Non solo: fin dalla tenera età, Butcher deve seguire e accudire il fratello Hugh, che vive in un mondo tutto suo. Secondo le normali convenzioni sociali, si tratta di un handicap, ma più ci si inoltra nelle storie di Furto e più è chiaro che tra le ossessioni di Butcher e il solipsismo di Hugh non c’è poi una differenza così netta. Esiste piuttosto una forma di comunicazione latente, che costituisce uno dei principali livelli di lettura. “La voce di Butcher è molto australiana, piena di alti e bassi, molto prosaica ma anche disseminata con alcune sostanziali sentenze artistiche e intellettuali” ha specificato Peter Carey ed è quasi per un riflesso innato che gli alterna i pensieri scoordinati del fratello, Hugh. Lo strano equilibrio, gestito al meglio in un’area rurale dell’Australia, dove Butcher si è rifugiato scappando da mercanti, creditori e aventi più o meno diritto, viene messo in pericolo dall’arrivo di Marlene Leibovitz. Femme fatale affascinante e risoluta, che padroneggia il mercato dell’arte con un’abilità fuori dal comune, oltre a far innamorare Butcher, trascinerà lui e il fratello in uno spettacolare intrigo internazionale. Da qui in poi tocca al lettore scoprire cosa succederà perché la natura morta con schizzi di passione da cui si genera Furto prende la piega di un thriller a orologeria, che Peter Carey racconta miscelandolo, con un tocco in più per il ritmo e un certo garbo, con un’impossibile love story, tanto che lo stesso Butcher confessa, ad un certo punto: “Se vi ho dato l'impressione di aver fatto certi calcoli, lasciatemi dire una cosa: non avevo la più pallida idea di quello che stavo facendo”. Trascinato, per amore, per necessità e forse per un ineluttabile destino tra Tokyo e New York, Butcher soccombe alle grazie e ai piani di Marlene, aggiungendo soltanto un paio di piccole considerazioni sull’identità dell’artista. La prima riguarda il legame con i clienti, i mercanti, i politicanti, per cui la reazione, dal suo punto di vista, può essere soltanto una: “Erano loro a fare la storia, e allora andassero affanculo tutti quanti, sempre, in eterno”. L’altra è una riflessione più generale, a cui anche Peter Carey si è avvicinato lavorando ai fondamentali di Furto, ed è riferita all’essenza intima dell’essere un artista perché, come dice Butcher, “se vuoi fare arte, il lavoro non finisce mai, non c’è pace né riposo, solo un eterno sbattersi, imprecare, angustiarsi e innervosirsi”. Viene spontaneo pensare che forse è meglio il mondo a parte di Hugh, ma non ci sono e non ci saranno mai prove. Un romanzo enigmatico e brillante.

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