C’è sempre una frontiera, ma non è il mito americano, è piuttosto un limite nello spazio e nel tempo che J. G. Ballard sembra essere capace di superare con una concezione della narrativa e della letteratura per niente consolatoria, tagliente, coraggiosa, inquietante. Super-Cannes è un romanzo scomodo perché ci presenta un futuro molto vicino, dove i margini, o i confini, che definiscono legalità moralità e civiltà non sono molto chiari. Anzi. Paul Sinclair e la giovane moglie Jane, assunta in qualità di medico di Eden-Olympia, lo spazio esclusivo sulla Costa Azzurra dove è ambientato Super-Cannes, si devono confrontare con il fantasma ingombrante di David Greenwood, medico a sua volta che, pare in preda a un raptus di follia, ha compiuto una strage. Dieci persone uccise a fucilate sono più che sufficienti ad indurre Paul Sinclair a sollevare non pochi dubbi sulla vera, preoccupante natura di Eden-Olympia. Super-Cannes si snoda così come un thriller ad altissimo profilo psicologico dove J. G. Ballard può allineare ideali frammenti di Crash, di La mostra delle atrocità o del Condominio, tutte storie che portano a scoprire la disgregazione di un’umanità per cui, annota lo scrittore inglese in modo beffardo e lucidissimo, “fare shopping è l’ultimo rituale popolare che può aiutare a costituire una comunità, assieme agli ingorghi stradali e alle code in aeroporto”. La noia mortale è una spada di Damocle sulla civiltà occidentale e in Super-Cannes e la conclusione di Ballard appare oggi ancora più puntuale di vent’anni fa: “Il pericolo si abbatterà su di noi puntandoci il coltello alla gola. Guarda al secolo che abbiamo davanti... Un deserto soffice come un cuscino di piuma, ma pur sempre una terra desolata. Nessuna fede, se si esclude un vago credo in una divinità sconosciuta, come lo sponsor di una trasmissione di servizio. Ovunque ci sia una vuoto, si insinua il tipo di politica sbagliato”. Di conseguenza, le “cocaine nights” di Eden-Olympia si trasformano in soluzioni terapeutiche per gli executive, i manager e gli amministratori delegati che popolano Super-Cannes: la pornografia, le violenze sugli immigrati, le rapine a mano armata, gli incidenti stradali hanno un retroterra pauroso che Paul Sinclair scoprirà rimanendone logicamente invischiato fino alla fine. “La Costa Azzurra è un posto di duri”, e se lo sapevamo già attraverso l’epopea indimenticabile di Francis e Zelda Fitzgerald e, non di meno, con quella tossica e decadente dei Rolling Stones di Exile On Main Street, in Super-Cannes, Ballard riesce a offrirgli in più una patina di tecnologia e di soluzioni avveniristiche che la rendono davvero una sorta di terra di nessuno tra l’adesso e il domani. È chiarissimo, nel bel mezzo del romanzo, quando uno dei personaggi più ambigui e sfuggenti recita: “I fisici possono dire quello che vogliono, ma qui il tempo scorre in una direzione sola, a precipizio nel futuro. Senza guardarsi indietro, e questo lo sanno quasi tutti”. Pochi, però, sanno raccontarlo come Ballard ed è questo, più dell’incombenza delle ombre di Super-Cannes, a doverci preoccupare.
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