Ci sono due nazioni, due mondi e due universi che raccontano le Mappe per amanti smarriti. Gran Bretagna e Pakistan, civiltà occidentale e Islam, la natura del mondo reale e quella fantastica delle patrie immaginarie dei sogni e dei legami. È tutto doppio in quel gioco di incontri e contrasti che è la vera trama sotterranea del romanzo di Nadeem Aslam. Sullo sfondo delle differenze tra modi di vivere diversi si sviluppa un’educazione ai legami e all’amore di un’intera comunità. Il punto di partenza è la scomparsa di Jugnu e Chanda, i primi amanti smarriti della storia, che inserisce una sottile indicazione noir nella geografia del racconto. Per inciso, “Jugnu, lo studioso di lepidotteri, sosteneva che le farfalle rosa liberate nell’aria durante il concerto dei Rolling Stones a Hyde Park nel luglio 1969 doveva essere semplici farfalle bianche immerse in un bagno di colore, perché in natura non esistono farfalle rosa”. Un passaggio che, all’inizio di Mappe per amanti smarriti, rende già evidente l’amore di Nadeem Aslam per i dettagli naturali, e non. Poi c’è, quasi speculare, il confronto tra Shamas (il fratello di Jugnu) e la moglie Kaukab che è anche l’immagine del divario tra l’accettare e lo scoprire il nuovo mondo e il rimanere legati alle tradizioni. L’intreccio, complesso e per certi versi temerario, contiene anche il distacco e le aderenze tra India, Pakistan e la Gran Bretagna, tra la civiltà occidentale e l’Islam che Nadeem Aslam racconta inserendo profumi, sfumature e descrizioni particolareggiate con certosina abilità e anche con un delicato senso musicale del ritmo e della parola. Aiutato da un immaginario legatissimo allo svolgersi spontaneo dei tempi e delle stagioni, che scandiscono l’andamento di tutto il romanzo, perché “il tempo trasforma tutto in ricordi”, Mappe per amanti smarriti è un libro attraente, anche se non sfugge una certa patina di formalità nella sua costruzione. Come se Nadeem Aslam, nel tentativo di convincere il lettore, abbia esagerato un po’ troppo nell’elaborazione e nella rifinitura, smarrendosi con i suoi amanti. L’intricata filigrana, a tratti barocca, è una componente ridondante nella scrittura, pur con una sua logica. Piccoli difetti di gioventù, quando “l’immaginazione pretende di spaziare in tutti gli aspetti della vita” e manca ancora quella mappa che serve per non lasciarsi travolgere dall’esuberanza e dall’entusiasmo. Le cartoline sulle vie intraprese dagli amanti perduti sono preziosi ricami sia con lo sguardo rivolto in alto (“Il cielo è così azzurro che viene voglia di toccarlo. Presto sarà azzurro e oro”) che puntato verso la terra (“Gli aceri lungo la ripida stradina fra la moschea e la chiesa avevano incominciato a sanguinare goccia a goccia all’inizio dell’autunno e adesso sono quasi completamente spogli, scheletri degli alberi che erano”), ma scrutando il destino dei suoi amanti Nadeem Aslam avverte comunque: “Niente avviene per caso: è sempre colpa di qualcuno; forse, ma nessuno ci insegna a convivere con i nostri errori. Ciascuno è isolato, solo con il suo dolore e la sua colpa, e una domanda troppo acuta può far sì che il giorno dopo le persone non riescano più a guardarsi in faccia tra loro. E non sa neppure se sarà mai capace di affrontarla o costringerla ad ammettere la verità. Sono intrappolati qui l’uno con l’altro rinchiusi nella stessa cella d’isolamento, e non c’è liberazione”. Questo vale per tutti, e forse bastava molto meno per dirlo.
Nessun commento:
Posta un commento