Cuba, oggi: “Eccomi in strada, pedalando come ogni mattina, con la testa tra le nuvole, in qualsiasi momento potrei finire sotto un camion. Vado verso l’ufficio: il lavoro. Che lavoro? Sono due anni che faccio tutti i giorni la stessa cosa: pedalare da casa mia all’ufficio, timbrare il cartellino, sedermi alla scrivania, leggere delle riviste straniere che continuano ad arrivare con due o tre mesi, se non anni, di ritardo e vivere tra le nuvole. Non possiamo stampare la nostra rivista di letteratura, di cui sono il caporedattore, per via dei problemi materiali che attanagliano il paese, il periodo speciale e tutto quello che stiamo passando, come ben sappiamo, senza contare quello che ci resta da sopportare. All’ora di pranzo ho quasi sempre finito di vivere nelle nuvole”. Non è difficile capire il perché, una volta avviati verso Il nulla quotidiano descritto da Zoé Valdés: in quel momento tutte le contraddizioni cubane, l’embargo e l’isolamento internazionale si scontrano sui piatti vuoti e anche tenere in vita una rivista letteraria diventa qualcosa di avulso dal vivere quotidiano, tutto concentrato sui diffusi tentativi di sopravvivere. Per Patria, la protagonista, sembra essere tutto più difficile fin dalla nascita (e chissà che il nome non nasconda qualche intento metaforico) attraverso una stagione di amori e passioni che la vede scontrarsi inevitabilmente con l’intricata e a tratti inesplicabile realtà cubana. Zoé Valdés ha il pregio di scrivere un romanzo coraggioso e pungente, che non si adegua né all’esotico pauperismo di altri narratori cubani, né al tentativo di abdicare alla propria identità. Con qualche punta di lirismo, riesce a ritrarre il mondo di Patria e di Cuba, cogliendone esattamente il tempo e la sua dimensione, vagamente prossima ad un cosmico buco nero: “La giornata lavorativa è finita, non perché sia giunta l’ora di andarcene, ma perché è di nuovo andata via la luce e non solo il computer e la fotocopiatrice, ma anche le macchine da scrivere sono elettriche, e la nuova ragazza che lavora alla banca dati ha ancora una volta perso tutto perché non ha fatto in tempo a salvare le informazioni, domani dovrà ricominciare da capo e forse quando starà per finire la luce se ne andrà di nuovo e lei dovrà ripartire da zero, e così via nei secoli, dei secoli, amen”. La voce è acerba, forte, orgogliosa persino nell’ostentare i propri limiti, quando Zoé Valdés alias Patria conclude così la battaglia con Il nulla quotidiano: “Sono il prodotto di pessime professoresse di spagnolo. Non mi faccio illusioni, ho dubbi nella costruzione delle frasi lunghe, mi perdo in un guazzabuglio di chiacchiere inutili, avrei dovuto leggere di più Lezama Lima e Proust. Mi sbaglio con la concordanza dei tempi, lo so, non c’è bisogno di dirmelo”. Del resto non serve la Recherche per raccontare “il dolore quotidiano, il terrore di saperci improvvisamente inutili, il rancore verso il nulla” e nello splendore e nel dolore di Cuba, a Patria non rimane non rimane che l’emozione dello stupore: “Piango perché oggi tutto mi succede inaspettatamente, a me cui non succede mai niente, che faccio sempre la stessa cosa: pedalare ed essere tra le nuvole”. Coinvolgente.
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