Nei vent’anni racchiusi negli Scritti 1968-1988 che compongono Stanotte vorrei parlare con l’angelo, c’è una curiosa progressione che parte da Easy Rider e arriva a Paris, Texas, due film antitetici eppure complementari, come se fossero le facce diverse di una stessa moneta. Wim Wenders comincia con l’attrazione fatale per rock’n’roll e per un’idea di America e attraverso il fluttuante universo del cinema (“Ogni immagine è anche un’unità conchiusa, una visuale, un momento di concentrazione, una durata nel tempo”) giunge ad affrontare un particolare senso della scrittura, arrivando a scoprire che “le storie, creando contesti, rendono la vita sopportabile”. Il percorso non è evidente ed emerge con una frequenza irregolare, che si nota soltanto con una visione panoramica e completa degli appunti di Wim Wenders. La scintilla iniziale è il fascino di Easy Rider e parte dalla percezione che “la musica americana viene sostituendo sempre più la produzione di senso che mano mano il cinema perde: dalla concentrazione di blues, rock’n’roll e country scaturisce qualcosa che deve venir colto non solo a livello auditivo ma anche visivo, in immagini come spazio e tempo”. L’istinto lo spinge anche più in là fino a dire che “i film sull’America dovrebbero essere fatti solo di totali, come già è per la musica sull’America”. Il rock’n’roll, forse anche più del cinema, è la costante degli appunti di Stanotte vorrei parlare con l’angelo: Van Morrison, i Creedence, gli Who, i Velvet, Monterey e la nascita di Sympathy For The Devil attraverso l’obiettivo di Godard, vista come “un’incredibile comunicazione, da un’intesa assolutamente impensabile, spontanea, giacché vedere l’utopia è cosa plausibile”, sono gli snodi non solo di una passione esclusiva, ma di un’interpretazione molto acuta di un linguaggio. Succede anche per il cinema per cui Wim Wenders arriva alla conclusione che “è prima di tutto una forma, la legge assoluta del cinema è che il film deve essere una forma, se no non racconta nulla. Per me la forma è, prima di tutto, avere un punto di vista preciso, prima di tutto come vedo e poi, forse, qualche volta, come penso. Nel fare un film io vedo molto e penso poco.”. I registi che affronta sono, tra gli altri Truffaut, Altman, Bergman, Fassbinder, e i loro film lo convincono che “nel rapporto fra immagine e storia, la storia è come un vampiro che cerca di succhiare il sangue all’immagine”. È la svolta che porta Stanotte vorrei parlare con l’angelo a concentrarsi sulla scrittura tout court e avviene intorno alla gestazione di Paris, Texas con Sam Shepard. Non è una coincidenza e, anche dal punto di vista musicale (l’indimenticabile capolavoro di Ry Cooder), è un cerchio che si chiude alla perfezione, anche se il rapporto di Wim Wenders con la scrittura resta contraddittorio: “In realtà credo che le storie siano menzogne; ma, MA in lettere maiuscole, ma le storie sono molto molto molto utili in quanto forma di sopravvivenza. Le storie sono una struttura artificiale che aiuta gli uomini a vincere le loro maggiori paure”. Eppure, nonostante le sue idiosincrasie (“Per me la scrittura è causa di angoscia; una sceneggiatura, un articolo, una lettera, è sempre la stessa cosa: le parole giungono inevitabilmente troppo tardi, come se questa fosse la loro natura”), Wim Wenders è molto generoso nell’affrontare lo spinoso argomento. Se da un punto di vista strettamente stilistico, “sembra logico che il narrare conduca a delle storie, nel senso che ogni parola vuol far parte di una frase e mi sembra che le frasi vogliano far parte di un contesto; dunque non è necessario forzare le parole perché facciano parte di una frase né le frasi perché facciano parte di una storia”, all’estremo opposto “è chiaro che c’è qualcosa di molto eccitante nelle storie; hanno molta forza, e un grande significato per la gente. Sembra che diano alle persone qualcosa che desiderano grandemente, ben più del semplice umorismo, o della suspense, o del divertimento. Penso che ciò a cui la gente aspira realmente è il contesto. E narrare vuol dire, qualsiasi cosa si narri, non fa differenza, creare un contesto. Le storie danno alla gente la sensazione che esista un senso e un ordine dietro l’incredibile confusione di tutti i fenomeni che ci circondano”. Qualche decennio dopo, con l’America alle spalle, e una dozzina di film sparsi per il pianeta, Wim Wenders si arrende e ammette “che le storie sono impossibili e che è impossibile vivere senza storie”. La destinazione è inevitabile, il bello è arrivarci.
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