martedì 25 ottobre 2022

J. G. Ballard

I miracoli della vita avvengono in un arco temporale e spaziale che comincia e finisce a Shangai, dove Ballard è nato e cresciuto. È lì che comincia tutto ed è chiaro fin dall’inizio: “Il mio coinvolgimento con la scrittura risale alla mia infanzia, verso la fine degli anni trenta, e fu forse una risposta alla grande tensione che sentivo fra gli adulti in mezzo a cui vivevo”. A Shangai, come spiega Ballard, “tutto era possibile, e si poteva vendere e comprare qualsiasi cosa. In un certo senso, si potrebbe dire che era un set cinematografico, ma quel tempo a me pareva reale, e io credo che una buona parte della mia narrativa sia stata un tentativo di evocare quell’atmosfera in un modo diverso dal semplice ricordo”. Tra I miracoli della vita, rientrano, nella prima e più consistente parte, la descrizione dei famigliari, appartenenti allo stesso secolo, ma a un’altra epoca, l’infanzia nel campo di prigionia di Lunghua e le prime associazioni letterarie con Hemingway e Steinbeck, scoperti grazie ai soldati americani. Tutti elementi che conducono Ballard alla considerazione che “a Shangai il fantastico, che per la maggior parte delle persone sta dentro alla propria testa, per me stava fuori, lo vedevo ovunque mi giravo, e adesso penso che lo sforzo principale che facevo da ragazzo fosse quello di cercare, in tutta quella finzione, la realtà. Ma in qualche modo continuai a farlo anche quando, dopo la guerra, arrivai in Inghilterra, in un mondo che era quasi troppo reale. Da scrittore, ho trattato l’Inghilterra come se fosse una strana finzione, e il mio compito era quello di tirarne fuori la verità, come la mia controparte da bambino faceva con le guardie d’onore fatte di gobbi e i templi senza porte”. C’è un intervallo importante, quando Ballard si arruola nella Royal Air Force e viene trasferito in Canada per l’addestramento. Nel bel mezzo del nulla, una prima, fondamentale epifania: “Interiorizzavo la fantascienza, cercando la patologia che stava alla base della società dei consumi, del paesaggio televisivo e della corsa all’armamento nucleare, un vasto e inesplorato continente di possibilità narrative”. Nel tratto autobiografico il tono e la forma sono molto più lineari che nei romanzi e sono anche più sciolti, quasi colloquiali, persino generosi nel descrivere le sue sensazioni. Lo shock del ritorno a Londra lo spinge a convincersi a “diventare uno scrittore specializzato nel prevedere e, se possibile, provocare il cambiamento. Il cambiamento, pensavo, era ciò di cui l’Inghilterra aveva disperatamente bisogno: lo penso ancora adesso”. È una percezione acuta, che si distinguerà in tutta la sua narrativa: “Il cambiamento era nell’aria e influenzava, nel bene e nel male, la psicologia della nazione. Il cambiamento era ciò di cui scrivevo, soprattutto le tendenze più riposte dei mutamenti che già cominciavano a rivelarsi nel comportamento della gente. Persuasori invisibili stavano manipolando la politica e i mercati del consumo, influenzando abitudini e presupposti in un modo che ancora pochi comprendevano”. Detto questo trovano rilevanza la formazione letteraria, compresa l’importanza di Freud, i legami con Michael Moorcock, Kingsley Amis, Eduardo Paolozzi e Chris Evans, la perdita della moglie e il rapporto con i figli, e, dettaglio non trascurabile, i due anni a studiare anatomia “tra i più importanti della mia vita”. La conseguenza diretta è che La mostra delle atrocità e Crash sono i titoli più in evidenza tra I miracoli della vita e L’impero del sole è un ricordo che non muore mai come lo stesso Ballard suggerisce, concludendo che “per certi versi tutta la mia narrativa è la dissezione di una patologia profonda di cui fui testimone a Shangai, e poi nel mondo postbellico, dalla minaccia di guerra nucleare all’assassinio del presidente Kennedy, dalla morte di mia moglie alla violenza che ha puntellato la cultura dell’intrattenimento negli ultimi decenni del secolo. Ma può essere anche che quei due anni nell’aula di dissezione fossero un modo inconscio, per me, di mantenere viva Shangai con altri mezzi”. L’ammissione trasforma I miracoli della vita in una specie di testamento spirituale che Ballard rende esplicito quando dice: “Mi ero arrampicato sino a un miraggio, avevo accettato che, a modo suo, esso fosse reale, poi ci ero passato in mezzo ed ero uscito dalla parte opposta”. Lucidissimo, fino alla fine.

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