Siamo noi che guardiamo gli animali o sono gli animali che ci guardano? È da questo dilemma che comincia l’indagine di John Berger Sul guardare. C’è un motivo sostanziale nel rapporto uomo e animale e l’atto di guardare lo definisce perché “gli animali entrarono nell’immaginario dell’uomo come messaggeri e come promesse” e a differenza degli animali “l’uomo guarda sempre attraverso la propria ignoranza e la propria paura”. È un punto di partenza insolito, ma non anomalo per addentrarsi tra i principi dell’arte, della pittura, della fotografia e gli effetti dell’osservazione, o meglio del guardare, in generale e in particolare proprio perché “avviene a volte che la visione del singolo riesca a sopravanzare le forme sociali della cultura esistente, ivi compresa la forma sociale dell’arte. Quando ciò avviene, le opere nate da una tale visione vivono in una solitudine storica, oltre che personale”. John Berger riflette sugli artisti primitivi, ovvero outsider come il Postino Cheval che da una pietra costruì un sogno, su Bacon, La Tour, Paul Strand, Walker Evans e per ogni artista ha un modo di vedere e valutazioni che vanno ben oltre gli aspetti estetici. È un’attitudine a confrontarsi con l’opera d’arte che tiene in considerazioni tutte le variabili e vale per la fotografia (“Proprio perché conserva l’immagine di un evento o di una persona, la fotografia è da sempre collegata all’idea di storia”) come per la pittura (“Nessun contorno, nessun vuoto, nessuna asperità nei contorni tradisce un’esitazione nell’intensità della pittura. L’atto del dipingere è inseparabile dalla sofferenza patita. Poiché nessuna parte del corpo sfugge al dolore, la pittura non può in nessun punto cedere in precisione. La causa del dolore è irrilevante, ciò che conta è la fedeltà della pittura. Questa fedeltà nasceva dall’empatia d’amore”) o la scultura, vista attraverso le opere di Rodin o Giacometti, così come per ogni altra espressione visiva fino ad arrivare a Walt Disney. L’attenzione al contesto sociale e geografico è sempre rilevante come è evidente nel capitolo dedicato a Ralph Fasanella i cui dipinti “parlando di alcune lezioni che l’aspetto della città impartiva quasi fossero leggi”. Le affollate geometrie di Fasanella, che rileggono New York secondo una “prospettiva ambulante” (John Berger dixit) ci ricordano che “una città moderna non è solo un luogo; essa è anche, di per sé, molto prima di essere raffigurata in un quadro, una serie di immagini, un circuito di messaggi”. È in quel momento che Sul guardare supera la fenomenologia della critica dell’arte e si rivolge all’elaborazione del vedere in sé, liberandosi dagli schemi di “ciò-che-sta-per-accadere, ciò-che-si-deve-guadagnare svuota ciò-che-è”, e puntualizzando i significati più profondi della percezione dell’immagine. I contorni spaziali delle figure rimandano a coordinate temporali e secondo John Berger “il tempo narrato diventa tempo storico quando è assunto nella memoria sociale e dall’azione sociale. È necessario che il tempo costruito e narrato rispetti il processo della memoria che spera di stimolare”. È un gesto che “implica un atto di redenzione” che è un’intima rivoluzione perché “all’improvviso un’esperienza di osservazione disinteressata si apre e dà vita a una felicità che riconoscete immediatamente come vostra”. Da tenere sempre a portata di mano.
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