Devil è una prostituta di Kuala Lampur che, in una notte caotica al Grand Hotel, incrocia il suo destino con quello di Terry Fernandez. Musicista con poche speranze e un matrimonio combinato nell’immediato futuro, dividerà con Devil un rocambolesca fuga tra teorie della cospirazioni, terroristi, agenti segreti, governi corrotti sull sfondo di una città caleidoscopica, un “crossroad” di razze, religioni, culture, idee e confusione nel mondo seguito all’11 settembre 2001. Il sogno di Devil, e in fondo in fondo anche quello di Terry Fernandez, è lo stesso: “Voleva un locale in cui i clienti potessero venire ad ascoltare il blues dal vivo, scambiarsi chiacchiere da ubriachi sul senso della vita, e tornarsene a casa felici. Oppure, se il blues era suonato davvero bene, tristissimi”. Soltanto che la prima non sa come fuggire dai clienti che la picchiano con gusto e per perversione, e il secondo non riesce a trovare il modo di arrivare in fondo a una canzone di Robert Johnson senza interrogarsi sul suo futuro, e su come riuscirà a sbarcare il lunario, visto che non ci riesce quasi mai. In una notte in cui accade di tutto, Devil si trasforma in una femme fatale vendicatrice (visto che si può subire all’infinito, ma poi un limite si trova sempre, prima o poi) e Terry nel suo compagno di sventura. Lo snodo imprevisto è che l’ultimo cliente di Devil è (o meglio, era) un uomo legato a un gruppo terroristico a cui, per inciso, doveva consegnare un sacca contenente il denaro necessario al prossimo attentato. Dollari americani, un bel po’, che Devil e Terry si ritrovano tra le mani all’improvviso. Una fortuna e un pericolo perché, va da sé che c’è parecchia gente a cui il malloppo sta a cuore. Oltre ai sodali del terrorista, anche un agente della CIA annoiato (e sia detto che, rispetto ai suoi nemici, “l’America era un rimedio con gravi effetti collaterali”) e un plotone di bizzarri personaggi che rincorrono Devil e Terry nei gironi danteschi di Kuala Lampur. Attorno al thriller si innesta anche una riflessione: “Noi non siamo perfetti e neanche voi. Forse se lo ammettessimo tutti quanti, la perfezione ci si potrebbe presentare. Fino ad allora, nessuno ha il diritto di imporre le sue imperfezioni agli altri”. L’esordio di Brian Gomez, già musicista (“Sono stato anche un chitarrista blues per svariati locali intorno a Kuala Lampur. Quando ho cominciato a scrivere il romanzo, ho pensato che per il personaggio di Terry potevo basarmi sulla mia esperienza, ma più scrivevo, e più la vita di Terry prendeva una forma tutta sua. Così, alla fine, c’è davvero una piccola parte di me nel protagonista del romanzo che non è autobiografico anche se alcuni dei personaggi sono basati su persone che ho conosciuto suonando blues che è il mio genere preferito di musica ma che non credo abbia avuto una grande influenza sul romanzo”) e copywriter (“Nella mia carriera nel mondo della pubblicità, ho usato la mia immaginazione per trovare idee per le campagne, ma ho sempre avuto molte bizzarre intuizioni che sapevo che avrei usato in un film, in un libro o in una canzone. Dopo dieci anni di lavoro nella pubblicità, non riuscivo più a concentrarmi sul mio lavoro e sentivo la necessità di vedere se qualcuna di queste idee poteva portare qualche frutto. La prima idea che ho voluto sperimentare è stata il libro e un giorno mi sono seduto e ho cominciato a scrivere!”) svela un narratore capace di assorbire come una spugna le migliaia di suggestioni di una metropoli estrema e di trasformarle in un florilegio rocambolesco di immagini degno di un thriller, ma anche con un gusto ironico, frenetico, divertente e molto pop.
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